sabato 11 giugno 2011

Imbalsamarte


La mia professoressa di educazione artistica delle medie ci faceva portare in classe dei lombrichi, animaletti non difficili da reperire per noi ragazzini rurali che pescavamo con le canne di bambù. I vermi venivano lavati, uccisi in un bagno di alcol e messi a seccare. Indi incollati su supporto cartaceo così come morte li aveva colti, insieme ad altre macchie di colore, in quella che aveva la pretesa di essere una libera composizione artistica.

Se a quell’epoca quel genere di professoresse era frequente nelle scuole medie, nei licei artistici e magari anche nelle accademie di belle arti, non mi stupisco se nell’anno di grazia 2011 sedicenti artisti come Maurizio Cattelan espongono alla Biennale d’arte di Venezia duemila piccioni imbalsamati, immobili su cornicioni e sporgenze delle strutture espositive, quasi una specie di surreale spettacolo di artisti di strada, con statue viventi che viventi più non sono.
 
La mia professoressa mandante di vermicidi deve aver fatto scuola o essere stata almeno in numerosa compagnia, perché il maggior esponente vivente di tale branca necrofila dell’arte forse è Hermann Nitsch, che da più di cinquant’anni si vanta di fare arte usando sangue, frattaglie e addirittura, mescolando pittura e teatro, invitando gli spettatori a macellare povere creature incolpevoli finite nelle mani sbagliate.
In una società sana, tali performances non sarebbero nemmeno concepibili. In una meno sana, se qualcuno dovesse concepirle, non sarebbero permesse e l’interessato verrebbe curato da esperti psichiatri. In una società malata quale è la nostra, non solo vengono permesse dalle autorità, malate quanto il resto della popolazione, ma vengono lodate e incensate da critici d’arte, malati pure loro tanto quanto le autorità e il pubblico spettatore. Ne consegue, per chi non se ne fosse ancora accorto, che viviamo in una società di pazzi. Vedere, al proposito, “I cosiddetti sani”, di Erich Fromm. O magari anche “Psicopatologia della vita quotidiana”, di Sigmund Freud.
Su un’isola di ciechi, uno a cui la vista funziona perfettamente è un mostro, un deviante, come nel racconto di H. G. Wells. E infatti, benché non fossi presente, m’immagino che così devono esser stati visti gli animalisti che hanno protestato davanti alla Biennale: mostri devianti.
Mettiamoci vicino anche altri epiteti come talebani e oscurantisti e avremo un quadro completo di come la gente, suggestionata da autorità ed “esperti”, viene condizionata a pensare in un certo modo, eclissando e sopprimendo anche quel barlume di coscienza e di buon senso che dovesse essere sopravvissuto ai numerosi attacchi edonistico-materialisti già abbondantemente portati, da più parti, all’individuo.
A poco serve sbraitare che la violenza sugli animali è propedeutica alla violenza sull’uomo, dato che, in questo caso, scatta la sindrome di Bertold Brecht: quando arrestarono i sindacalisti mi voltai dall’altra parte perché non ero sindacalista, quando arrestarono i comunisti mi voltai dall’altra parte perché non ero comunista. Ora che hanno arrestato me non c’è nessuno che mi venga in aiuto.
Analogamente, quando imbalsamarono piccioni per la Biennale mi voltai dall’altra parte perché non ero un piccione, quando macellarono vecchi ronzini per rendere famoso Nitsch mi voltai dall’altra parte perché non ero un vecchio ronzino. Ora che stanno per macellare me non c’è nessuno che mi venga in aiuto.
Voltarsi dall’altra parte per non vedere è vezzo diffuso non solo fra i cattolici, che se non si tratta di embrioni o di casi umani come quello della povera Eluana non si muovono, ma anche presso laici e liberi pensatori. E’, al limite, anche una forma di autodifesa, tanto che lo pratico spesso anch’io per non dover arrivare a decidere di spararmi un colpo. Tuttavia, quando è troppo è troppo e ci sono casi in cui la gente si ribella, come è successo a Milano quando un signore che passava di lì per caso, vedendo fantocci a forma di bambino appesi ai rami di un albero, si arrampicò per tirarli giù, cadendo pure e ferendosi malamente. Il Comune di Milano gli fece causa per aver danneggiato delle opere d’arte, ma poi il giudice saggiamente lasciò perdere. Io avrei fatto causa all’assessore alla cultura del Comune, specie per come viene sperperato il denaro del contribuente. Anche in quel caso, il diciamo così famoso artista era il padovano Cattelan che, vista la mala parata milanese, andò a riproporre la stessa “opera” a Siviglia, in Spagna, dove fu accolga nella locale mostra d’arte.
In quel caso si trattava di manichini, eppure, a Milano, diedero fastidio a più di qualcuno. Nel caso di Venezia, si tratta di piccioni in carne e piume, benché sottoposti a trattamento imbalsamatorio. Come mai una folla furente non invade i giardini e le pertinenze della Biennale per strappare dai muri, a furor di popolo, quei corpicini impagliati?
L’ho già detto: è la sindrome di Brecht all’opera: tanto sono solo piccioni! Il razzista, quando sente notizie di negri, froci ed ebrei perseguitati e oppressi (vedere Gian Antonio Stella), dice: “Tanto sono solo negri, froci ed ebrei!”. Non si scappa: razzismo e specismo hanno una stessa matrice. E sarebbero entrambi condannabili, se solo avessimo una coscienza educata a rispettare ogni forma di vita, ma purtroppo la religione antropocentrica, oltre che monoteista, ci ha insegnato che solo la vita umana è sacra. Sì, figuriamoci! Magari la gente prendesse sul serio almeno quel principio! Il fatto è che la gente non considera sacra né la vita umana, né quella animale, perché introducendo la deroga fondamentale che le bestie non sono degne di rispetto, si è dato via libera ad altre infinite deroghe, tutte a uso e consumo di categorie privilegiate.
Lo specismo è la madre di tutti i razzismi. E il bello è che la gente non lo sa. Non se ne rende conto, forse perché alle religioni fa comodo così: avere dei fedeli scarsamente dotati di senso della giustizia. In caso contrario, con persone che non accettano le ingiustizie, le stesse gerarchie ecclesiastiche correrebbero brutti rischi. Nella mente delle persone non esiste ingiustizia se, prima, non c’è la percezione dell’ingiustizia. Tutto nasce dalle definizioni. La definizione, come diceva Salvatore Mongiardo, è la matrice di ogni male.
Sembra che Cattelan si sia procurato i piccioni all’estero, dove vigono leggi razziali di genocidio dei piccioni, considerati invadenti usurai diffusori di guano e malattie, e che abbia voluto applicare una forma di gestione creativa delle carcasse, che altrimenti sarebbero state incenerite. Sarebbe questa la botta di genio? Usare i corpi dei piccioni piuttosto che lasciarli andare in discarica? Cattelan, una specie di Schindler al contrario, invece di salvarli ne ha riscattato i corpi. Il sinedrio dei volatili lo metterà nell’elenco degli ingiusti. O forse in quello dei deficienti.
Che ci siano paesi più o meno barbari dell’Italia ci può stare, ma farne anche pubblicità, ammiccando alle loro nefandezze e rivestendo d’importanza sedicente artistica quello che è solo vile genocidio, mi sembra il massimo della complicità e della collusione. La prossima volta mi aspetto una prestazione in lode della corrida.
Perché, nella prossima Biennale, Cattelan e altri sedicenti artisti come lui non si fanno consegnare da Israele i cadaveri dei palestinesi massacrati a Gaza, li imbalsamano e li espongono nei padiglioni della mostra? Sai che affluenza di pubblico pagante! Un vero successone! Cattelan & soci hanno potuto fare ciò perché sono immersi fino al collo nello specismo antropocentrico, che pone le bestie in un gradito più basso degli uomini. Anzi, che pone gli uomini nel ruolo di tiranni rispetto agli altri animali. Dobbiamo ringraziare la Chiesa, per questo. Ma non solo lei. Qualcuno ha posto una barriera fittizia tra l’uomo e gli animali, un pretesto psicologico per fare di loro ciò che più ci aggrada. Forse, dopo aver letto le prime righe del Genesi, dobbiamo andare a cercare quel qualcuno nella struttura più intima del nostro cervello rettiliano, quell’antichissima parte di noi che, illo tempore, cacciava e massacrava e combatteva per sopravvivere. Peccato che siano passati i secoli e i millenni e per qualcuno, purtroppo, siano passati invano.
Nel momento in cui si prende coscienza del nostro crudele passato di scimmie cacciatrici, si dovrebbe anche dire basta. E invece molti continuano a sguazzarci dentro, in questa melma preistorica fatta di comportamenti atavici. Homo homini lupus è legge universale ineludibile o se ne può fare anche a meno? Possiamo rinunciarvi? Nitsch dice anzi che imbrattarsi di sangue e viscere è catartico e porta alla spiritualità: si può essere più scemi? Marinetti diceva che la guerra è l’igiene del mondo: si può essere più idioti?
Fino a che punto è lecito, in nome della tolleranza voltairiana, lasciare che simili idiozie abbiano campo libero di scorrazzare come cavalli imbizzarriti nei verdi pascoli della coscienza e della conoscenza collettiva? Poi, se poniamo censure a certi libri, ci chiamano intolleranti! Se diciamo che queste forme di sedicente arte fanno schifo, ci chiamano antidemocratici! A me ricorda quando parliamo male del governo americano e della sua onnipotente CIA e c’è sempre qualche anima candida che ci chiama antiamericani. Eppure, il premio nobel per la letteratura Gunther Grass diceva: “Sono le idee ad annunciare la violenza; resistere loro è possibile. Dunque la resistenza deve cominciare prima che le idee si armino di violenza”.
Com’è stato possibile arrivare a questo? I principi della massima libertà di pensiero ed espressione sarebbero validi in una società di gente sana, ma abbiamo già visto – e lo vediamo quotidianamente – che sana, questa società, non lo è per niente. Voltaire aveva in mente una società ideale, composta di uomini rispettosi, e forse lo si può accostare a un Campanella, con la sua “Città del sole”, o ad altri utopisti come Cabet, Fourier e Morris. Tutte insulsaggini, le definisce Cioran nel suo “Storia e utopia”, le loro descrizioni di una società perfetta.
Esporre piccioni assassinati, indipendentemente dal fatto che sarebbero stati uccisi ugualmente, e pretendere di farlo passare per arte, è semplicemente assurdo, per non dire macabro, volgare e disonesto. Un’insulsaggine, direbbe Cioran. Anche i fautori della corrida cercano di contrabbandarla per arte. Anche i cacciatori cercano di trasmettere al pubblico la loro passione sanguinaria per qualcosa d’altro, le passeggiate all’alba, i canti degli uccelli, i profumi dei fiori. E così i vivisettori, che si presentano come salvatori dell’umanità. Che disgusto!
Almeno i nostri antenati che dipinsero i bisonti sulle pareti delle grotte di Altamira provavano forse una sorta di ammirazione per quegli animali che poi andavano a cacciare, una forma di rispetto che si ritrova secoli dopo nei nativi americani, nei cui confronti molti di noi provano simpatia. Ammirare i bisonti, dipingerli sulla roccia e andare a cacciarli sperando magari di aver preventivamente catturato la loro anima, forse è la scintilla che fece scoccare il sentimento religioso. Forse è così che è nata la religione, da un sentimento di attrazione e rispetto per quella che veniva riconosciuta come fonte di cibo che permetteva la sopravvivenza durante le ere glaciali. E quindi di gratitudine. Ma quale gratitudine e rispetto prova un Cattelan o un Nitsch? Quanto gli rende massacrare e far massacrare animali innocenti?
Questi artisti sono il non plus ultra del bieco specismo industriale moderno e vogliono imporcelo come arte e addirittura come strumento di ascesi spirituale!
Non vi è differenza tra esporre animali imbalsamati in una mostra d’arte ed esporre le teste del nemico ucciso sulle picche o sui merli dei bastioni in spregio agli assedianti. I cacciatori inchiodano corvi e cornacchie su piccole croci piantate nei campi, in spregio ad animalisti e guardiacaccia. L’entomologo Henry Fabre criticava il vizio di Jean il Guercio che inchiodava gufi e barbagianni sui portoni dei granai, un modo apotropaico di tenere lontano il demonio. O gli altri strigiformi, considerati suoi famigli. E sempre per paura del demonio, agli angoli delle strade di campagna, nel medioevo si arrostivano gatti vivi dentro pentole di metallo chiuse ermeticamente.
Il medioevo, ci è stato insegnato, è finito da un pezzo. Chi glielo dirà a Cattelan? Chi fermerà le folli rappresentazioni di Hermann Nitsch?

2 commenti:

  1. completamente d'accordo, this is not art!
    indecente che la biennale possa credere il contrario, forse anche li dirige il cognato di qualcuno, altrimenti non si spiega proprio una tale scelta scellerata!

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  2. La tendenza è in atto già da qualche decennio, da quando cioè gli artisti moderni hanno cominciato a essere creativi, in qualche caso anche simpaticamente, come quel tale che vendeva barattoli con l'etichetta "Fiato d'artista". Anni Sessanta? Poi è stato tutto un discendere negli abissi dell'idiozia, tranne qualche raro caso. Gli artisti odierno sono una casta a parte, presuntuosi che non accettano critiche e che sembra abbiano dimenticato il buon senso. Anzi, fanno a gara a chi, il buon senso comune, lo sovverte di più. Fenomeno che ha radici lontane: "Epater le bons bourgeois", scandalizzare i buoni borghesi, diceva la Scapigliatura Milanese agli inizi del Novecento.
    Ciao e grazie.

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