venerdì 15 febbraio 2013

La deriva degl’incontinenti




Testo di Paola Cerana









Accade che in certi momenti della vita ci si senta alla deriva, sbattuti a ridosso di un bivio oltre il quale la strada si biforca su un baratro inquietante. Il senso della propria identità presente e la prospettiva di un futuro trasparente si confondono e l’Io rischia d’esser traghettato verso il buio, anziché verso la luce.
In questa liminalità psichica è tutt’altro che facile decidere consapevolmente quale ramo della biforcazione intraprendere. Sono più spesso forze sotterranee che spingono all’agire cosciente. Ma il rischio di avventurarsi nell’ignoto è il prezzo necessario per affrontare il cammino della propria individuazione. Un cammino contorto e minaccioso che, ad ogni passo in superficie, produce in profondità un contraccolpo. A volte, infatti, si ha la sensazione che ad ogni piccolo, minuscolo passo in avanti se ne producano altri due indietro, enormi, giganti passi indietro. Una retrocessione che origina dal dubbio radicale di sbagliare e che crea uno straniante senso di colpa davvero difficile da elaborare, perché in quel senso di colpa così vivo, così graffiante si mescolano cose vere e cose false. Cose che lasciano stordite anche le persone attorno a noi, sconvolte dai repentini e ingrati cambi di marcia, incomprensibili alla ragione.
Reggere i vissuti di colpa che sorgono a ogni presa di distanza dai modi comuni di pensare e di agire è un’impresa a dir poco eroica, anche per l’offesa che si reca involontariamente a chi ci ama. Perché spinge al limite del sostenibile, verso una solitudine necessaria eppure dolorosa che può amplificare ancor di più il disorientamento, anziché far luce.
E non è neppure scontato che si possa riprendere la via del ritorno, perché niente resta uguale a prima dopo essersi avventurati tanto lontano e pochi sono disposti a star là, sull’altro ramo della biforcazione, ad aspettare il nostro ritorno. Come dice Jung, in questo cammino si rischia di diventare solo “ombre per il mondo di sopra.”
Nel disorientamento radicale e nella frantumazione del tempo che paralizza l’io svuotandolo d’ogni desiderio, l’anima può essere attratta dal Non-essere. Le sue ali possono sentirsi irrimediabilmente lacerate, disfatte, sbrindellate e non possono più tenere la rotta, né il vento, né la speranza.
Eppure …
Eppure una rotta c’è sempre, il vento soffia sempre e la speranza, dopo tutto, è sempre l’ultima a morire.

Paola Cerana





Bel testo, soprattutto nella parte dove si evidenzia la possibilità di allontanarsi da chi ci sta vicino fino al punto di diventare irriconoscibili. Mi ricorda il film “La mosca”. 
Io mi sono allontanato così tanto che sono il primo a non riconoscermi. Si tratta, in fondo, solo della vecchiaia che avanza, una deriva senza ritorno. Una metanoia che metà basta.

Nessun commento:

Posta un commento