martedì 2 aprile 2013

L’altra Cipro


NB: questo mio articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2002 su “Il Nuovo Friuli”, con il titolo “Come guardinghi camaleonti”.




"Che abbronzato!" mi hanno detto i colleghi al rientro da Cipro. E dopo avergli mostrato, sebbene con qualche riluttanza, anche gli avambracci ustionati, gli spiegavo che non ero andato lì per una vacanza, ma per partecipare a un campo antibracconaggio.
Detta così sembra una cosa tipo boy-scout, con tanto di tende, walkie-talkie e latrina periferica. Invece noi eravamo cinque adulti, alloggiati in appartamento uso cucina, con macchina presa a noleggio. I miei amici erano già stati l'anno scorso, sempre in primavera, e mi avevano avvisato che c'è un caldo africano, e in effetti siamo a sud della Turchia, ma quest'anno era più ventilato del solito e la sera faceva fresco.
Mi avevano detto: "Portati lo spazzolino".
"Non preoccupatevi - avevo risposto - porterò anche dentifricio, pettine, rasoio e schiuma da barba".
"No, è per pulire le zampette agli uccelli...".

Cosicché, mi sono portato dietro un vecchio spazzolino da denti che tenevo in mezzo ai
pennelli, ma non mi è servito molto perché, per carattere, non ho molta pazienza. I primi uccellini che trovavo, invischiati per le zampe e le punte delle ali, li passavo a Graziella, che delicatamente li ripuliva da ogni residuo di vischio. In seguito, ci ho preso gusto anch'io e, mentre all'inizio li staccavo a secco dal bastoncino invischiato, tirando lentamente e causando anche lo strappo di qualche remigante, poi ho scoperto che spruzzando acqua insaponata durante l'operazione, con uno di quegli spruzzini che si usano per inumidire la roba da stirare, le zampette e le penne venivano via pulite, così che si poteva mollare l'uccellino senza sottoporlo a spazzolatura.
E' un trauma, per un animale selvatico, essere afferrato e noi cercavamo di manipolarli per il minor tempo possibile. Del resto, non li si poteva lasciar andare con addosso residui di vischio, giacché questo li avrebbe condotti a sicura morte. Non tutti di quei centotre che abbiamo salvato sono volati via bene, perché qualche timoniera l'avevano perduta, o tra le nostre maldestre mani o direttamente sul bastoncino invischiato. Alcuni, dopo la liberazione, forse anche a causa delle piume bagnate, s'infrattavano, saltellando, sotto il più vicino cespuglio e noi ci chiedevamo come avrebbero fatto a raggiungere la Siberia. Graziella, prima di liberarli, gli dava un bacino sulla piccola testa, come benedizione e viatico. Andrea si chiedeva se in quei casi, trovandosi di fronte un uccelletto impossibilitato a volare, gli stellioni ne avrebbero approfittato. Non è da escludere, poiché, date le grosse dimensioni e la dieta insettivora tipica dei sauri, quelle lucertole chiamate in latino Agama stellio, numerosissime a Cipro, si sarebbero forse trasformate in predatori nei confronti di una capinera menomata. Ma questo non sarebbe uno scandalo, perché rientrerebbe nel quadro generale della Natura. Il vero scandalo è che i ciprioti mangino uccelletti del peso di due grammi, così, a gratis, senza un reale bisogno. I ciprioti, infatti, sono gente ricca, con un tenore di vita almeno pari a quello italiano. Grazie al turismo. Mentre a Lignano e Bibione c'è la pausa invernale, lì hanno i turisti tutto l'anno. E li spremono ben bene. Hanno un mare stupendo e i quattro quinti delle loro coste sono già stati deturpati dalla speculazione edilizia. Solo la penisola di Akamas resiste, ma ancora per poco, all'assalto del cemento.
In compenso i ciprioti buttano le immondizie dappertutto e l'entroterra, benché vi sia una florida agricoltura, dà un senso di squallore con tutti quei frigoriferi, quelle carcasse d'auto, i sacchetti della spazzatura e le interiora di pecora lasciati in giro nei campi e nelle strade. Il concetto di riciclaggio, insieme alla tecnologia per attuarlo, è ben lungi dall'essere approdato sull'isola. Su cinquantacinque parlamentari, i ciprioti ne hanno uno solo che, pare, faccia parte di un partito verde. Dimodoché, considerato che su una popolazione complessiva di 700.000 abitanti ci sono 55.000 cacciatori (sarebbe come se noi ne avessimo sei milioni!), la mia impressione è che a Cipro siano indietro di trent'anni rispetto a noi, in fatto di coscienza ecologica.

Che il vischio e le reti siano vietati se ne infischiano, anche in considerazione del fatto che in tutta l'isola, di guardiacaccia, ce n'è solo un centinaio. Praticamente ogni proprietario di agrumeto si trasforma, indisturbato, in bracconiere, in primavera col vischio e in autunno con le reti. Nel 2004 Cipro dovrebbe entrare giuridicamente in Europa, ma questo non cambierà la situazione perché si sa come vanno certe cose. Infatti, l'Italia, che in Europa c'è già, continua furbescamente ad autorizzare l'uso delle reti senza che nessun deputato europeo si scomponga. Ogni tanto arrivano, è vero, le condanne e le multe da Strasburgo, per l'Italia inadempiente, ma sono condanne e multe (come le Grida manzoniane) che non tolgono il sonno a nessuno.
In sei giorni effettivi di lavoro, giacché ce ne siamo concessi anche due come normali turisti visitando Nicosia e i monti Trodos, abbiamo distrutto 1581 bastoncini invischiati, trovati negli orti della zona sud est di Cipro, appoggiati orizzontalmente sui rami dei nespoli, degli aranci o dei melograni. E' infatti attorno a Paralimni e Agia Napa che cresce la pianta, chiamata in inglese Sirian Plant, dalle cui bacche si ricava la micidiale sostanza collosa usata per catturare i piccoli uccelli migratori. Sembra che tale pratica sia molto antica, mentre l'uso delle reti è stato introdotto solo in anni recenti, in concomitanza con l'aumentato benessere economico della popolazione. 
Perfino la guida del Touring Club Italiano pubblicizza, scelleratamente, la ghiottoneria
dell'isola a base di uccelletti, a beneficio di quella categoria di turisti temerari che in Perù vogliono assaggiare il porcellino d'India, in Giappone la carne di balena e di serpente, e se vanno in Spagna, ovviamente, non vogliono perdersi la corrida! Barbari in trasferta che vanno a trovare i loro cugini indigeni.
Benché ci muovessimo sempre in modo guardingo, come camaleonti che attraversano la strada, in alcune occasioni siamo entrati in contatto con i padroni del fondo. Dato che nella nostra cultura la proprietà privata è sacra, ci sentivamo svantaggiati psicologicamente entrando nei frutteti alla ricerca dei bastoncini, ma nel primo caso, materializzatosi dal nulla il proprietario, abbiamo continuato a fare quello che stavamo facendo: Andrea saliva sulla scala appoggiata all'albero e ci passava gli stick con gli uccellini attaccati, io, Graziella e Roberto li pulivamo, Simone filmava. L'uomo è rimasto zitto e fermo ad osservarci, senza sapere che pesci pigliare. 
Nel secondo caso, addirittura, un paio di giorni dopo, il padrone del frutteto si è messo anche lui a liberare, in nostra presenza, quegli uccelletti che le sue stesse trappole avevano catturato (in Friuli invece sarebbe finita a calci e pugni), e quando si è avvicinato a Graziella per toglierle di mano la capinera, lei, fattasi orsa che difende gli orsetti, ha sfoderato l'istinto materno gridando: "No, no, no!" e rifiutandosi di consegnare l'uccelletto nelle mani di quell'omaccio, benché animato da buone intenzioni. "Devono essere ben puliti..." ho detto all'uomo, che non si aspettava quella reazione. 

Cosa avrà voluto dimostrare, mettendosi con noi a liberare uccelli? Voleva solo essere ospitale nei nostri confronti o ci aveva scambiato per funzionari governativi alle dipendenze del Game Service, il servizio di vigilanza sulla caccia? Qualunque sia la risposta, ce ne venivamo via, ogni volta, dai poderi con sentimenti contrastanti: da una parte la soddisfazione immediata di aver tolto di mezzo le insidie e liberato bigiarelle, canapini, balie dal collare e sterpazzole, dall'altra l'amara consapevolezza che dopo il nostro passaggio altre migliaia di bastoncini invischiati sarebbero stati rimessi al loro posto, fino alla fine del passaggio migratorio. E' poca cosa, sei giorni di perlustrazione, in cinque persone, con migliaia di frutteti da ispezionare: bisognerebbe essere più numerosi, anche per una questione di sicurezza, ma non tutti possono spendere quattrocento euro per il biglietto aereo e prendersi le ferie in aprile. E poi forse bisognerebbe andare in autunno, quando in ogni orto c'è una rete, e viene compiuta una vera mattanza, ma in autunno abbiamo il lavoro degli archetti, nel bresciano. Insomma, non si può arrivare dappertutto. 
Come in Sardegna cerchiamo il contatto con gli animalisti del posto, così a Cipro siamo stati ospiti, una sera, al ristorante, di Melis Charalambides, esperto della Cyprus Ornithological Society. Egli andrà a Bruxelles il prossimo dicembre, per chiedere l'intervento dell'Unione Europea sul problema del bracconaggio, ma io credo di sapere già cosa gli risponderanno: "E' una questione interna... avete il vostro servizio di vigilanza: fatelo funzionare!".
Gli uccelli canori continueranno a transitare su Cipro due volte l'anno e migliaia di loro, chissà per quanto ancora, finiranno lì il loro viaggio e la loro breve esistenza, transitando attraverso l'apparato digerente di incoscienti ominidi buongustai, incapaci di vedere l'aspetto divino della Creazione, avidi materialisti, nocivi all'ecosistema e che allegramente ci condurranno tutti, come specie, all'estinzione. Purtroppo sono la maggioranza e fintanto che saranno loro a dominare il pianeta, saccheggiandolo, noi saremo costretti a vivere nell'ombra, comportandoci da carbonari, e a muoverci di nascosto, tra i frutteti e altrove, come guardinghi camaleonti. 







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