giovedì 14 novembre 2013

Le opportunità di liberare animali vanno colte al volo



Durante il mio primo viaggio in Madagascar, nel 2003, avevo fatto comprare dal nostro chauffeur nove pappagallini in vendita al mercato di Ambohimahasoa, per poi scoprire che gli erano state tagliate le penne remiganti e che quindi non potevano essere liberati.
Quella volta, i parrocchetti, dovemmo lasciarli al nostro autista, che forse se li è rivenduti insieme alla gabbia, comprata in cambio della promessa che dopo  la muta delle penne ci avrebbe pensato lui a liberarli.
Tre anni dopo, oltre alla pavonia di Foulpointe, in altre tre occasioni mi capitò di liberare degli animali appena catturati e in due casi i loro catturatori non la presero per niente bene, procurandomi una certa quantità di stress e facendo aumentare in me, mio malgrado, l'odio per gli esseri umani in generale e per i malgasci in particolare.


Ero arrivato in Madagascar da appena una settimana e la mia buona disposizione d'animo verso i malgasci era ancora intatta. Passeggiando fra le bancarelle del Bazary Kely di Tamatave vidi un bimbetto di sei o sette anni che giocava con un  grosso coleottero marrone legato a una cordicella di nylon, a sua volta legata alla punta di un bastoncino: un adulto della famiglia gli aveva predisposto quella rudimentale canna da pesca.
Da noi, molti anni fa, si prendevano i cervi volanti, li si sottoponeva allo stesso trattamento (senza bastoncino) e li si faceva volare in tondo. In tal modo si otteneva un aeroplanino, così come il bimbo di Tamatave aveva ricevuto in dono come trastullo, una macchinina, una macchinina vivente piuttosto lenta.
Subito si pensa al peggio e, sapendo come sono fatti i bambini, già mi vedevo i suoi compagni di gioco contendersi il balocco e il delicato artropode finire schiacciato. La madre del bimbo, lì presente, notò il mio interesse  per l'insetto e subito tolse di mano al figlio il bastoncino e rimase in attesa di conoscere la mia mossa successiva. Che infatti arrivò puntuale, anzi istantanea. Poiché il bambino mi guardava con un po' di soggezione ed era rimasto improvvisamente senza il suo giocattolo, i cento ariary che avevo in mano li diedi a lui, tra la soddisfazione divertita dei presenti, violando due regole contemporaneamente: non si danno soldi ai bambini e non si comprano gli animali selvatici. Purtroppo, nella concitazione imprevista del momento non si ha tempo per pensare e avrei potuto cavarmela facilmente con il baratto, cioè comprando un'automobilina di plastica e dandola al bambino in cambio del coleottero.

In quel momento, l'unica mia preoccupazione era di mettere in salvo la bestiola e solo il giorno dopo, accompagnato da Lydie, una makurele di cui mi ero invaghito, tornai al mercato e comprai due macchinine, una per suo figlio Hirtine e una per il bambino del coleottero. Purtroppo, poiché ogni lasciata è persa, non riuscii più a individuare la bancarella giusta, in quel labirinto di banchi, banchetti e merce esposta tutta uguale.
Quando ebbi in mano il bastoncino con la penzolante creatura, misi il tutto nello zainetto e mi avviai verso il La Plage: lì chiesi aiuto a uno dei ragazzi della reception, perché per togliere il filo di nylon legato tra l'addome e il corsaletto c'era bisogno di due persone.
Benché agitasse freneticamente le zampe, alla fine, adoperando le forbicine con molta delicatezza, riuscimmo a togliere al coleottero la stretta imbracatura, così che potei andare a liberarlo, non visto, in un folto di vegetazione sulla spiaggia, vicino alla piscina.
                                                                                                                                                  
Il 22 dicembre del 2006, successivamente agli episodi della farfalla e del coleottero, andai a fare una passeggiata da solo nella foresta spinosa alle spalle di Mangily. A poca distanza dalle ultime case del paese, sullo stesso sentiero sabbioso che stavo percorrendo, vidi venire verso di me un uomo e tre donne, una delle quali reggeva in mano un giovane riccio appallottolato. Mi fermai di botto e siccome il mio sguardo si appuntò sul piccolo insettivoro, la donna pensò bene di offrirmelo sperando di ricavare qualche soldo. Senza neanche pormi il problema di conoscere le sue intenzioni, e senza por tempo in mezzo, glielo tolsi di mano e, affinché il gesto non sembrasse troppo prepotente, appoggiai il riccio a terra e misi mano al portafoglio: erano pur sempre quattro contro uno, se mi fossi messo a correre probabilmente nessuno di loro mi avrebbe inseguito, ma cento o duecento ariary, il prezzo che di solito si lascia come mancia nei ristoranti, glieli avrei dati senza sentirmi troppo in colpa, pur venendo meno ai miei principi. Purtroppo, o per fortuna, non avevo banconote di piccolo taglio. Balbettai qualche scusa, ripresi in mano il riccio e mi avviai nella direzione opposta a quella da cui il gruppetto era arrivato.

Poiché stavano andando in paese per i loro affari, non  avevano tempo da perdere e un riccio del peso di circa un etto non è una gran perdita. Né la donna interessata, né gli altri tre suoi compari emisero alcun vocalizzo di protesta e il riccetto, portato il più lontano possibile dal centro abitato, riguadagnò la sua libertà. Lo deposi a terra in mezzo alla boscaglia e mi sedetti con la schiena appoggiata a un baobab per godermi lo spettacolo.
Lui mise fuori cautamente prima il muso appuntito e, convintosi che non c'era più pericolo, riacquistò l'assetto da quadrupede camminatore e sgambettò via in un attimo: ridare la libertà a un animale è una delle poche soddisfazioni genuine della vita.

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