domenica 26 gennaio 2014

Un cellulare in vena di scherzi


Tratto da "Encefalogramma piatto"

Oltre al cagnetto, Mauro e mio padre mi hanno portato cibo in abbondanza, la macchina da scrivere e un cellulare di seconda mano. Consegnandomelo, mi dissero che secondo l'avvocato Calligaris avevo diritto di tenerlo purché comunicassi solo con lui e con i familiari autorizzati ad assistermi. E' strano perché sette anni fa, quando mi trovavo agli arresti domiciliari a casa dei miei, il giudice fece disattivare il telefono fisso e l'avvocatessa che avevo all'epoca non fece mai cenno alla possibilità di comunicare con lei tramite telefonate. Ed è ancora più strano perché quando mio padre venne la prima volta col pullman circa un mese fa, facendosi accompagnare alla baita dal fuoristrada dei carabinieri, che gentilmente si prestarono alla bisogna, il rappresentante dell'Arma volle controllare che in mezzo ai pacchi di pasta e di zucchero non ci fosse un cellulare. Poiché il dubbio mi è rimasto, se dovessi vedere che il Defender prosegue sulla strada forestale sottostante perché ci sono notifiche da farmi firmare, nascondo il cellurare dopo averlo spento, per evitare qualsiasi rischio di contestazione. Finora non è successo, finora sono venuti solo per controllare la mia presenza, senza entrare in casa. Accendo il telefonino tutte le mattine alle otto, pur sapendo che nessuno mi chiamerà, ma è un'abitudine che avevo anche prima, con il vecchio numero.


Tuttavia, c'è sempre la possibilità che l'avvocato mi telefoni, almeno nei giorni feriali, magari per comunicarmi l'ora del suo arrivo, come mi aveva promesso quando c'incontrammo nell'ufficio del giudice. Nelle prime settimane ci credevo, ma adesso ho il sospetto che non verrà mai a trovarmi, nonostante (o forse proprio per questo) mio padre gli abbia dato mille euro senza prima consultarmi. Se lo avesse fatto, se mi avesse chiesto un parere, gli avrei detto che, in quanto disoccupato, usufruisco del gratuito patrocinio e che Calligaris sarà pagato dallo Stato. Ma, si sa, i genitori vogliono autoflagellarsi, per potersi commiserare.

Cioè, perché gli astanti vedano quanto sono buoni loro e quanto invece sono cattivi i loro scapestrati figlioli. Pagare l'avvocato a mia insaputa è stato perciò un doppio insulto nei miei confronti, perché continuano a trattarmi come un bambino immaturo e perché aumentano la quantità di biasimo che parenti e conoscenti metteranno sul mio conto. D'altra parte, rimproverarlo più di tanto non posso, perché è mio padre, mi porta il cibo ed è l'unica persona, insieme a mia madre e all'amico Mauro, che mi sta aiutando in questo momento di difficoltà. 
Se avessi una mentalità un pò più borghese e sdolcinata, direi anche che non posso sgridarlo perché mi ha dato la vita, ma siccome non è stato ancora appurato se vivere sia un valore di per sé, non sono del tutto sicuro di dover provare gratitudine nei suoi confronti, per avermi chiamato a lottare in questo mondo di atomi e molecole. C'è, tra noi, un tacito accordo. Lui mi fa una moderata paternale, uno o due commenti moralistici, specie in presenza di qualche carabiniere, per l'incendio doloso di cui sono accusato, e io mi limito a fargli capire la stupidità del suo gesto senza calcare troppo i toni. 
E' stato un gesto poco accorto, il suo, soprattutto se si pensa che prima del mio arresto avevo chiesto ad un amico animalista di indire una colletta in favore dell'avvocato - e in effetti un pò di soldi gli erano arrivati - cosicché non ha senso che sia io, cioè mio padre, a pagarlo quando ci penserà, per legge, lo Stato e ci penseranno - o dovrebbero pensarci - gli altri attivisti, cioè quel movimento per i diritti animali di cui faccio parte a tutti gli effetti. 

E qui si apre quel triste capitolo che va sotto il nome di solidarietà di gruppo, una solidarietà del tutto assente, il "punctum dolens" di questo movimento. Punto dolente che non riguarda solo il comportamento di quelle persone che dissentono dal sistema di sfruttamento ai danni degli animali, messo in opera dal genere umano, ma riguarda anche gli animali stessi, perché quella che è una vergogna per gli animalisti, l'infingardaggine, si traduce in un ulteriore danno per quelle innocenti creature, che hanno a che fare con la crudetà della maggioranza degli uomini in una prima battuta e con l'ignavia di una minoranza d'essi, che vorrebbero difenderli, in seconda battuta. 
Traditi due volte. E la seconda fa più male. Non tanto a loro, gli animali, che non se ne rendono conto, ma fa più male a me che da troppi anni ricevo segnali di paura da parte di coloro che, bene o male, sono stati e sono tuttora miei compagni di lotta.

Lotta che è di per sè, lessicalmente parlando, una parola grossa, ma che sono costretto a usare per la povertà intrinseca del linguaggio. Se quella in difesa degli animali è una lotta, allora è una lotta molto sbiadita, all'acqua di rose, quasi una presa in giro. Poiché il potere nasce dalla ricchezza, e buona parte della ricchezza del mondo viene dallo sfruttamento degli animali, ne deriva che i loro potenti nemici mai e poi mai accetteranno le richieste degli animalisti, le cui suppliche, le cui petizioni, i cui ricorsi faranno tutti la fine che si meritano: polverosa carta su cui la gente - in genere borghesi benpensanti - avrà firmato la petizione, di volta in volta proposta dagli animalisti, nell'illusione di cambiare le cose.

Da quando ho questo nuovo cellulare, mia madre mi telefona in media un paio di volte la settimana, per informarsi sulle cose da comprare. Durante la prima telefonata, che mi fece dopo più di un mese dal mio arresto, evitò di farmi prediche e recriminazioni. Evitò di piangere. Si mantenne su un piano pragmatico e volle sapere di quali generi alimentari avevo bisogno. A ciascuno il suo ruolo: al padre le paternali e alla madre il vettovagliamento. 

Le prime due notti dall'arrivo del cellulare mi successe una cosa curiosa. Una settimana prima avevo riconosciuto il latrato della volpe, preludio agli accoppiamenti e segnale della fine dell'inverno. Le avevo messo dei croccantini e, a meno che non sia stato il gatto, qualcuno ne aveva approfittato. Così, aspettando l'avvento della primavera, una mattina verso le sei fui svegliato da un canto d'uccello molto forte. Assomigliava al verso di un galletto, ma piuttosto metallico, e s'interrompeva bruscamente. Pensai che un uccello di media taglia si fosse posato sul tetto in lamiera della baita e siccome non avevo sentito il rumore dei suoi passi, i sospetti si concentrarono sugli strigiformi, che hanno un volo silenzioso e un modo di fare furtivo, ma anche sui tetraonidi, che si levano in volo di scatto dal luogo in cui si trovano buttandosi a capofitto giù nella valle. 

Questo comportamento isterico avrebbe dovuto spiegare la brusca interruzione del canto. Oltretutto, in vita mia, non ho mai visto né udito un gallo cedrone o un gallo forcello, che sono quindi uccelli alquanto misteriosi per me, e il verso sembrava uscito dal becco di un gallinaceo, mentre i canti di gufi e di civette li so riconoscere facilmente. Ero pronto alle sorprese, non potevo escludere che, complice la frenesia primaverile, un francolino di monte mi avesse fatto l'onore di posarsi sul tetto della mia casa, tenuto conto che cinque anni fa, una sera, una coppia di succiacapre volteggiò a lungo sul prato antistante la mia terrazza, senza farsi più vedere negli anni seguenti. 

Tuttavia, il manuale Bruun-Singer descriveva il canto dei tetraonidi in maniera del tutto diversa da quello che avevo sentito io, così che, ecludendo i singulti baritonali dei rapaci notturni, ancora più diversi, la sera seguente mi coricai con l'intenzione di alzarmi e andare in terrazza, se il misterioso volatile fosse ritornato, nella speranza di cogliere almeno la sua sagoma in fuga, per cercare di riconoscerlo. 
E infatti, puntualmente, fui di nuovo svegliato dallo strano canto, ma aprendo gli occhi nella stanza buia, vidi uno strano bagliore provenire dal cellulare posato sulla credenza, che avevo regolarmente spento la sera prima. Allora capii. Era la sveglia. Doris, la moglie di Mauro, a cui il cellulare era appartenuto, aveva programmato la sveglia alle sei del mattino, quando tutti i cristiani si svegliano per andare a lavorare e come suoneria aveva giustamente scelto il canto del gallo. 

Questo aneddoto, se da una parte evidenzia la mia dabbenaggine e il desiderio spasmodico di avere incontri ravvicinati con altre specie, dall'altra mostra come i diavoli calibro dodici abbiano fatto dei boschi e delle campagne un deserto, impedendo a noi buona gente di fare amicizia con gli animali, e mi fa venire in mente una storia simile accaduta molti anni fa. Nel 1990, per la precisione. Andai a Berlino, con Edilio e Dario. Io in vespa, loro con una Honda quattro e cinquanta. Fermatici in un boschetto della Germania centrale, Dario si mise a dialogare con un uccellino.
 "Dai, vieni a darci una mano con le tende", gli dissi.
  "Aspetta, c'è un uccello che mi risponde".

E in effetti, il ragazzo e l'uccellino invisibile fra le fronde duettavano in sincronia perfetta. Così mi misi anch'io a naso in su per un pò, ma siccome non vedevo niente che potesse assomigliare a un volatile, ripresi i lavori di allestimento del campo. Dopo mezzora io ed Edilio avevamo fatto tutto quello che c'era da fare, ma Dario era ancora fermo nello stesso posto, in piedi, a naso per aria, fischiando in risposta al tenace pennuto. Quando alla fine tornò da noi, gli chiesi: "Allora, sei riuscito a vederlo?".
 "No, erano due rami che si strofinavano l'un l'altro".

C'è da dire, a sua parziale discolpa, che Dario portava occhiali spessi da miope, ma anche qui appare evidente il bisogno che molti umani provano di interagire con le altre specie, bisogno che il più delle volte viene soddisfatto violentemente andando a vedere gli animali negli zoo, o nei circhi, o peggio ancora andando a stanarli, armati, nel loro habitat.

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