sabato 16 agosto 2014

Piccoli passi nella direzione giusta


Domani parto per la brousse, quella vera, dove la gente non ha corrente elettrica e sulle piste sabbiose passano solo camion-brousse e rari fuoristrada. Dove la gente, quando c’è carestia e non si trova manioca, mangia cavallette per lunghi periodi. Dove le persone, in caso di omicidio, si mettono d’accordo tra la famiglia dell’ucciso e quella dell’omicida, senza interpellare la polizia, ma stabilendo un adeguato  numero di zebù come risarcimento. Già l’anno scorso, al mercato di Besely Nord del martedì, avevo visto in vendita un pannellino fotovoltaico tascabile, che mi aveva tentato come oggetto esotico. Lì, chi può permettersi di comprarlo, lo usa per ricaricare i cellulari. Orange, come detto, arriva ormai dappertutto, ma anche Telma si sta dando da fare collocando i propri ripetitori fuori città. Quest’anno torno nelle stesse zone, dove Tina è nata e ha la maggiore concentrazione di parenti, tra cui il nonno che ci ospiterà per la terza volta, la prima nel 2009. Volendo saperne di più sui pannelli fotovoltaici, siamo andati di fronte alla Bank of Africa di Tulear, sulla via che porta al mercato di Sakamaha. Sulle bancarelle di materiale elettrico fanno bella mostra di sé pannelli di diverse misure, di quelli adatti solo per i cellulari, con spinotti di differenti qualità chiamati “rasta” perché somigliano a una treccia, a quelli più grandi che permettono un’illuminazione notturna come se si fosse collegati alla centrale elettrica. 

 
A me interessava poter usare il computer, visto che la sua batteria ha scarsa autonomia. Per un pannello di piccole dimensioni mi sono stati chiesti 60.000 ariary, pari a 20 euro, ma non posso sapere se il prezzo sia corretto perché con me viene immancabilmente praticato il vazaha-profit e se voglio pagare il giusto devo mandare Tina da sola. In una bancarella però ci è stato mostrato il pannello avente una superficie di circa 50 centimetri quadrati, la batteria che ne viene alimentata, grande la metà di quella delle auto, e un trasformatore, un po’ più grosso, con le prese di corrente utili per l’illuminazione e il computer. Pesanti la batteria e il trasformatore, fragile il pannello. Considerato che tutt’e tre i marchingegni andrebbero sul tetto del camion-brousse, stipati in mezzo a valigie, borse, sacchi di riso e carbone, cassette di birra e bibite, biciclette e motorini, animali vivi in gabbia e fuori, dal pollame alle capre, ho pensato di rinunciare, anche perché stiamo via solo una settimana e i miei utenti spero siano pazienti e comprensivi.

Mentre eravamo alle prese con il commerciante che ci spiegava il funzionamento del pannello, poi, Tina si è ricordata che a Besely Nord c’è una donna panarivo, ricca, che ne ha uno grande sul tetto e che da lì si può telefonare e avere corrente elettrica. Ho quindi desistito dall’acquisto del fotovoltaico, per il quale mi erano stati chiesti 270.000 ariary, 84 euro, che con un po’ di contrattazione potevano scendere a 250.000. Se dovessi fermarmi nella brousse per lunghi periodi, la faccenda sarebbe diversa e l’acquisto di uno strumento che usi le energie naturali sarebbe altamente auspicabile. Per stavolta vado via così, fidando nella compaesana ricca di Tina, che se non ho capito male gestisce una specie di stazione di sosta del camion-brousse. E’ interessante notare che nel Terzo Mondo, a differenza del primo, si fanno piccoli passi tecnologici nella direzione giusta, verso le energie rinnovabili. Per una volta tanto dobbiamo ringraziare i cinesi e il loro imperialismo commerciale.  

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