sabato 13 settembre 2014

Maledetti parassiti!

 
Prima viene a dirmi che devono dare il veleno al mais, poi mi dice che devono solo fargli prendere aria, svuotarne i sacchi e mescolare il contenuto, in modo che chicchi grandi stiano insieme a chicchi piccoli e alla fine mi conferma che, oltre a questa miscelazione, devono anche dare la polvere medicamentosa contro i curculioni.
“Tina, Tina, le informazioni sono importanti”, le dico sconsolato. Chiama Nary, il nostro guardiano di quando ci assentiamo, che viene a farsi fotografare con il sacchetto incriminato. E’ una polvere bianca che Alifeno, il padre adottivo di Tina, sparge sul mais a mani nude, come facevano una volta i contadini quando seminavano. I suoi aiutanti, tra cui Nary, s’incaricano di mescolare il tutto camminandovi sopra. E’ la stessa tecnica usata nelle risaie, solo che al posto dei piedi umani in quel caso si usano le zampe degli zebù, fatti camminare nel fango avanti e indietro.



L’insetto che danneggia i raccolti di mais credo sia il punteruolo, nome comune attribuito alla famiglia dei curculionidi. Ogni tipo di cereale ha il suo punteruolo e quello di cui si sente parlare più spesso, almeno dalle nostre parti, è il punteruolo del grano. Per la verità, anche il mais pieno di piccoli coleotteri neri potrebbe essere venduto – e c’è chi lo compra – ma il prezzo sarebbe stracciato. Per tale ragione, i produttori o, come in questo caso, chi fa business con lo stoccaggio, preferiscono distribuire il veleno al mais, contaminando se stessi e il prodotto finale, che poi è destinato a usi alimentari. Se c’è una cosa che i contadini occidentali e quelli dei tropici hanno in comune, è la noncuranza con cui spargono veleni che poi devono necessariamente finire da qualche parte. Nella fattispecie, nello stomaco dei consumatori.

Le logiche del profitto – e sotto certi aspetti non gli si può neanche dare torto visto che perderebbero il 90 % del raccolto – inducono ad essere cinici nei confronti della salubrità del cibo. Un funzionario malgascio della Sumitomo Chemical Company, con sede in Giappone, s’incaricherà di tranquillizzare il cliente presso il negozio di agraria, giurando sull’assoluta non pericolosità del Sumithion 5, usato oggi 13 settembre, nel cortile di casa, davanti ai miei occhi, dal padre di Tina e dai suoi aiutanti. Il quantitativo di mais trattato non si conosce perché i sacchi non sono mai stati pesati, ma calcolando 50 Kg di mais per una trentina di sacchi salta fuori qualcosa come una tonnellata e mezza di mais. Un chilo di Sumithion 5: un piccolo granello d’incenso sull’altare dell’inquinamento ambientale.

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