mercoledì 24 settembre 2014

Un angelo vestito da suora


Alla fine sono riuscito a sapere di che morte devo morire. Passato attraverso una serie di errori e di autodiagnosi errate, mercoledì 24 settembre ho posto la parola fine agli interrogativi riguardanti la mia malattia, che mi avevano assillato nelle due settimane precedenti. L’ho fatto grazie a una persona straordinaria, una piccola grande donna che conobbi nel 2008 e che ho rivisto dopo sei anni in un contesto completamente diverso e, come un angelo rassicurante e materno, mi ha posto nelle migliori condizioni psicologiche per affrontare il viaggio di ritorno a casa. Non alla casa del Padre, ma a quella avita delle mie origini. L’angelo in questione è suor Clemenza, di etnia Merina, che un giorno del 2008 si presentò al Longo Hotel di Tulear chiedendo se c’era un italiano disposto a tenerle un corso del nostro musicale idioma italico, giacché dopo qualche settimana una comitiva di sorelle, lei in testa, sarebbe stata ricevuta da Papa Ratzinger in Vaticano e Clemenza voleva almeno essere in grado di presentare i saluti al Santo Padre nella maniera più corretta. Paolo Tartari, all’epoca proprietario dell’hotel, sentita la richiesta della suorina, mi guarda, mi indica e le dice: “Lui è un insegnante!”. Mi sedetti al suo tavolo e concordammo le modalità del corso, che sarebbe andato avanti quasi due mesi, due volte la settimana, per 5.000 ariary (2 euro) all’ora, da tenersi presso l’ospedale di Tulear dove Clemenza faceva la suora infermiera. Fu contenta di me, alla fine le diedi un diplomino e lei volle regalarmi una camicia bianca, che mi faceva assomigliare a un vero monpere, come vengono chiamati i sacerdoti in Madagascar.


Ma prima di raccontare come ci siamo incontrati dopo sei anni, lei leggermente più paffuta e io sicuramente più invecchiato, mi corre l’obbligo di ricapitolare le tappe della mia infausta malattia, contratta per una serie di cause concomitanti, principalmente la scarsa igiene ambientale, in quel di Tulear. Dapprincipio, provando febbre e debolezza, pensai a malaria. Feci le tre iniezioni di chinino di rito, ma senza successo. Veleno introdotto nel mio corpo per niente. Allora, mi feci fare un esame del sangue, nella casa di Tina dove ero alloggiato ad Ambolanahomby, dal paramedico suo parente, il signor Francois. Esito: positivo alla febbre tifoide. Inizio di terapia antibiotica. Dodici pastiglie di Ciprofloxacina in tre giorni. Altro veleno introdotto nel mio corpo forse per niente. Come in seguito mi spiegherà suor Clemenza, nell’ospedale dove lavorava emettono sempre un risultato di positività al tifo addominale, per scarsa preparazione o negligenza. Tuttavia, ci ha tenuto a precisare che anche quando si presentava da lei un paziente con i miei stessi sintomi, per prima cosa ordinava un breve ciclo di antibiotici, che a suo dire male non fanno. Mi è stato detto però che sul piano fisico……”buttano giù”. Così, se al momento ho ancora qualche dubbio, è dovuto al fatto che non so se avevo l’intestino intasato dai batteri del tifo e se l’antibiotico li ha eliminati, magari insieme ai microrganismi buoni, oppure se non c’erano batteri e la Ciprofloxacina ha solo ritardato la mia guarigione. Fatto sta che, in condizioni di estrema spossatezza, ho intrapreso il viaggio di due giorni da Tulear a Tananarive, commettendo l’errore di cedere al peccato di gola mangiando cubetti di tofu dorée al Dragon d’Or di Fianarantsoa e bevendoci sopra succo d’uva di frigo. Il mio stomaco è andato fuori di testa. Cosa che sarebbe impossibile invertendo le parti corporee.

Su consiglio di masera Clemenza, che avevamo sentito per telefono nei giorni precedenti, martedì 23 sono andato a farmi visitare presso la clinica delle suore di Tanà, nel quartiere di Ankadifotsy. Pagando in anticipo un ticket di 9.000 ariary, siamo stati accolti dal dottor Ndimbiarivola, un vecchietto sbrigativo come un contabile, con occhialini e capelli tagliati corti, con stetoscopio d’ordinanza al collo e un martelletto per i riflessi appoggiato vicino al barattolo delle penne biro. Una piccola televisione a schermo piatto e un computer di vecchia generazione completavano il quadro della sua scrivania. Più che darmi risposte mi ha fatto domande, anche abbastanza insignificanti. Mi ha fatto stendere sul lettino, mi ha misurato la pressione, mi ha auscultato, mi ha fatto tossire e respirare a fondo, palpandomi l’addome e i reni per sapere se provavo dolore. Gli ho dovuto anche mostrare la lingua, mentre le sclere gialle dei miei occhi non sembravano interessarlo più di tanto. In breve, ci manda a fare gli esami di sangue e urine all’esterno, da un suo amico medico, facendoci anche un disegnetto su dove si trovasse il laboratorio e dove avremmo dovuto andare a ritirare gli esiti dopo tre giorni. La clinica in cui operava era quella delle suore di San Francesco, dotata di tutto ciò che serve e quando masera Clemenza l’ha saputo, che ci aveva mandato all’esterno, si è arrabbiata. Chissà perché io non mi sono stupito.

Ed eccoci all’incontro determinante. Lungo la strada, accompagnati dal nostro autista di fiducia Michel, ci siamo fermati a comprare una bottiglia di vino bianco per la messa e frutta per Clemenza, in quanto, trovandosi ad Ambohimangarova, 22 Km fuori Tanà, ha poco tempo per fare la spesa e se le portavamo arance e banane le avremmo fatto un piacere. Non capisco perché bianco e non nero, il vino, come si usa normalmente, però il sacerdote va almeno una volta al mese, di venerdì, a tenere messa per lei e per la piccola comunità che le gravita attorno. Suor Clemenza vive lì da due anni e mezzo, sta seguendo la costruzione di un dispensario, di un centro di formazione dottrinale e di una dependance per gli ospiti. Quando tutto sarà finito, dovrebbero arrivare i lebbrosi e anche altri malati. Poi, il vescovo di Tanà deciderà se mandarle altre suore di cui avrà sicuramente bisogno, quando il dispensario comincerà a ricevere i pazienti. Al momento, la comunità si compone di alcuni operai che costruiscono le strutture, cinque cani da guardia, che però non possono accedere all’abitazione di Clemenza e meno che mai nella piccola cappella adiacente. Tutto attorno, coltivazioni di legumi, ananas, verdure e molti alberi di papaia, coltivati da contadini gentili e amichevoli. Lei lascia sempre le porte aperte di notte e il cellulare appoggiato sul tavolino sotto il portico. Qui non sanno neanche cosa significhi la parola malaso.

Entrati nella saletta da pranzo, si è fatta spiegare tutto il decorso dei miei malanni, confermando che si tratta di epatite, con annesso ittero, senza sapermi dire se la A, la B o la C. Tuttavia, mi ha tranquillizzato dicendomi che non è grave, che non servono medicine ma una dieta appropriata. Esattamente ciò che ci aveva detto il nostro autista il giorno prima, che ha avuto la moglie per due mesi nelle stesse condizioni. Chiesto a masera se sopra il riso in bianco potevo mettere anch’io una spolverata di jamala, la marijuana locale, come ha fatto la moglie dell’autista e come fanno tutti i malgasci in questi casi, è stata categorica: niente droghe, perché ottundono la mente. Poi è andata in cucina a prepararmi un piatto di sosoa, riso bollito molto acquoso, con una cucchiaiata di latte in polvere per renderlo almeno un po’ dolce. Mentre Tina, masera e Michel chiacchieravano sul terrazzo e io mi godevo la piacevole sensazione di riempire uno stomaco a digiuno dal giorno prima (non avevo fatto colazione pensando di dover fare un prelievo del sangue), riflettevo sul fatto che mi sarebbe piaciuto passare tre mesi in quel bellissimo posto, che fra l’altro, a giudicare dal nome, è anche considerato sacro. Mi piace collaborare con persone di buona volontà e anche se io non sono cattolico, credo che mi sarei trovato bene in quel piccolo angolo di paradiso, mettendo a disposizione le mie competenze e anche facendo lavori di giardinaggio se necessario. L’unico neo: un allevamento di 50 maiali. Come mi comporterei durante le periodiche macellazioni? Quali meccanismi di stima tra me e masera si romperebbero, anche a livello inconscio, mentre assisto impotente all’uccisione dei miei fratelli suini? Perché la religione cattolica è così attraente nei suoi singoli rappresentanti ma anche così crudele alla prova dei fatti? Perché non possiamo vivere in un mondo perfetto? Non ho risposte a queste domande, ma una cosa è certa: oggi ho incontrato un angelo.

8 commenti:

  1. Bè....tu agli angeli hai sempre creduto...
    Mandi 😜

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    1. Vero!

      Sia quelli in spirito, sia quelli in carne e ossa, sia quelli che scodinzolano.

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    2. il riso è un cibo molto colloso per l'intestino... ma tant'è se l'ignoranza regna tra i medici occidentali, figurarsi in madacascar... Il giorno che ti affiderai a conoscere e non a prostarti agli esperti di turno, guarirari da qualsiasi sintomo...

      Il corpo tende naturalmente alla salute... ma se ci buttiamo sempre dentro veleni e parlo anche di ciò che mangi e ti fanno mangiare, fermerai solo i sintomi per qualche tempo ma non risolverai la causa...

      l'unica malattia è l'ignoranza...

      E qui mi taccio...

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    3. http://www.arnoldehret.it/old/modules.php?name=Content&pa=showpage&pid=34

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    4. Riconosco e apprezzo la tua ragionevolezza. Tuttavia, ora e nei prossimi tre mesi mi troverò alle prese con problemi di dieta non da poco, perché le cose che mi piacevano di più saranno off limits.

      L’olio per esempio, le olive, i sughi piccanti, la birra.

      Nemmeno gli spaghetti ajo, ojo e peperoncino posso farmi.

      Solo patate lesse scondite. Minestrine e semolino.

      Riso in bianco mi dici che non va bene.

      Al momento mi sento un po’ spiazzato, perché per me è la prima volta.

      Vorrei evitare, una volta giunto in Italia, di fare le analisi, perché tanto a che mi serve sapere se l’epatite è A, B o C?

      Quando sarò a casa, e avrò più tempo e credito telefonico, vedrò i video che mi posti sul tema.
      Per ora non posso far altro che ringraziarti.

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  2. Quando sarò a casa,
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    bisogna vedere SE ti lasciano entrare ........
    per i rimpatriati intanto vai in quarantena poi passi in osservazione ,
    se ti va bene dopo 40 giorni sarai libero con obbligo di analisi
    ogni tre giorni , e pagamento del ticket -

    ti aspetto a Cividale !!!

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  3. Signor Duria,
    Il suo indirizzo di posta elettronica è valido? Daniela

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