domenica 24 aprile 2016

Quando l'accoglienza diventa servilismo


Fonte: Il Giornale

Sì, dai, facciamoli sbarcare, sia dai canotti che dagli aerei. Accogliamoli, infine, nelle nostre case e, anzi, consegniamo loro devotamente una copia delle chiavi. Volessero uscire a mangiare un kebab…  Tanto, prima o poi, ce le fotteranno comunque, le case nostre costruite col sudore dei nostri Padri. E cerchiamo, mi raccomando, di individuare quelli fra loro che vogliamo ospitare; facciamolo intelligentemente prima che partano dai loro Paesi, e preghiamoli di inviarci, magari con lo smartphone di cui sono dotati anche i loro neonati, la foto delle pietanze che vogliono trovare a tavola all’arrivo e il disegno del tappeto per la preghiera che meglio si intona col colore degli occhi o delle djellaba. Non sia mai ci dovessimo sbagliare di gusto o tonalità. Potrebbero incazzarsi o, peggio, restare delusi dell’accoglienza italiana. Informiamoci su che marca di shampoo per chioma turbantata, smalto per  unghie nascoste e crema per le rughe sottovelate usino le signore e quale sia il calibro di pistola o la lunghezza di lama del coltello più gradita al marito, al nonno, allo zio e al nipotino kamikaze salterello.

 
Non facciamoci riconoscere per quello che siamo: disattenti e superficiali. Confusionari e disorganizzati. Anzi, cominciamo a studiare tutte le loro lingue, anche quelle più sgrammaticate; leggiamo il loro codice e memorizziamolo, soprattutto i capitoli che riguardano gli infedeli (noi) e la giusta fine che devono fare (boom! o anche zac!). Mettiamoli a loro agio, insomma. Come ci ordinano i nostri governanti imposti dalla massoneria e dalle banche. Come ci impone, sputandoci schizzi di coscienza favelera, il papa venuto dalla fine del mondo (cristiano). Come ci consigliano le bavose associazioni (dis)umanitarie, sempre pronte a salvare il culo e la pelle dei migranti for money, mentre se ne strafottono dei CRISTIANI MASSACRATI IN TUTTO IL MONDO IN QUANTO CRISTIANI!

Dai, ragazzi, andiamo a prenderceli, questi milioni di “pacifici fraterni invasori” e porgiamo, durante il comodo viaggio, l’altra guancia per qualche caracca (o papagno). Carichiamo per primi i bambini, così facciamo contenti un po’ di monsignori col vizietto; a seguire, i giovani, quelli che serviranno a far detonare le cariche necessarie per ricostruire stazioni, aeroporti, piazze, scuole, chiese… Non dimentichiamo le stivate di donne, di colore è meglio, per il mercato del piacere da siepe. E, infine, gli imam! Quelli, per favore, non manchino! Anzi, abbondiamo con gli imam. I più ortodossi. Quelli che ci spiegano come si picchiano le mogli, ci si immola per il profeta, si mutilino le bambine, si pieghino a suon di frusta le schiene dei giovani refrattari.

Poi, infine dell’infine, carichiamo i vecchi. Anche gli sdentati di cent’anni. Quelli depositari della saggezza popolare. Quelli che stanno accovacciati per intere giornate, come per un’eterna cagata, davanti alla porta di casa o ai giardinetti e ti guardano come se tu fossi l’incarnazione di ogni male, e ti sputano sui piedi appena gli passi vicino. Su, su, diamo retta al popolarmisericordioso papa Francesco, da ieri anche nocchiere  di lusso per famiglie non già cattoliche, cristiane, ma, si dice, autenticamente maomettane. Di quelle che ci mancavano nella collezione. I migranti pontifici.

Accogliamoli in questa nostra casa loro, sapendo che, male che vada, entro dieci vent’anni, faranno saltare definitivamente chiese e monsignori, governi e palazzi, sventreranno banche e luoghi del potere. Ma a noi, detto “papale papale”, non faranno un cacchio: perché non valiamo e non varremo niente. Al limite, ci daranno un pugno di couscous da mangiare per farsi servire. Una croce. Quella di Cristo fu più pesante e insanguinata. Fra me e me. Verso il Golgota, grazie al papa traghettatore (per chi fabbrica chiodi per le croci).

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