sabato 15 ottobre 2016

E' chiaro che gli Arconti ci vogliono morti



I ministri olandesi di Sanità e Giustizia hanno chiesto al loro parlamento una nuova legge per riconoscere il diritto a morire anche a chi, sano, considera la propria vita “completata”. Persone che “non vedono più alcuna possibilità di dare un senso alla loro vita, patiscono profondamente la perdita di indipendenza e rimangono isolati o da soli forse perché hanno perso la persona amata… ma per mettere fine alla loro vita hanno bisogno di un aiuto”. Dicono sia destinata soprattutto ad anziani, ma non sono previsti limiti di età e quindi, praticamente, è una legge rivolta a tutta la popolazione: alzi la mano chi, in vita sua, non si è mai trovato in una delle situazioni descritte. Disoccupati e malati (cioè dipendenti da altri), persone abbandonate dai propri partner (non è necessario essere vedovi per perdere la persona amata, è sufficiente essere lasciati, magari traditi, dopo anni di convivenza), e chiaramente anziani, che adesso ma soprattutto negli anni a venire sono sempre più destinati alla solitudine, vista la mancanza di figli su cui poter contare. 



E se non fosse tragico verrebbe da ridere leggendo che il tutto andrebbe fatto “a rigide condizioni”: con questi presupposti, quali mai saranno le “rigidità”? In verità i requisiti stringenti non riguarderanno più le condizioni in cui si dovrebbe trovare la persona che chiede la morte assistita, come previsto inizialmente dalla legge olandese sulla eutanasia, applicabile a malati in stato terminale. Adesso non ci sono più alibi: l’eutanasia – o il suicidio assistito – non è la risposta estrema a sofferenze estreme, non curabili in nessun modo – fortunatamente la medicina ha sconfitto il dolore – ma la realizzazione del diritto a morire, anzi, ad essere uccisi dallo stato, su richiesta. 


Se la proposta olandese andrà in porto per farla finita sarà sufficiente un “sono stanco, penso che basti”, e ci penserà il Sistema Sanitario Nazionale a farlo “nella maniera dignitosa che ritengono opportuna”, quasi si potesse pure pensare di scegliere come farsi uccidere. Le “rigide condizioni” previste dalla futura legge dovrebbero piuttosto riguardare gli “operatori”: la “pratica” – non la si vuole chiamare eutanasia, parola maledetta – dovrebbe essere eseguita con l’assistenza di “personale specializzato” e di un “esperto indipendente”. Alcune agenzie di stampa, a questo proposito, riferiscono più precisamente della presenza, nella legge, della figura di un “provider di morte assistita” con una formazione medica, che ha avuto anche un training aggiuntivo.



Ma ci chiediamo: specializzato in che? Esperto in che? E indipendente da chi? E cosa dovrebbe fare questo “provider” di morte, per specializzarsi ulteriormente? E dove la dovrebbe fare, questa ulteriore specializzazione? Le parole scelte non sono a caso: è un vecchio trucco quello di cercare di nobilitare una pratica, o almeno di renderla neutra dal punto di vista del giudizio, dandole un tono di scientificità, affidando la questione alla sicurezza asettica di personale specializzato e  adottando un linguaggio da manuale tecnico operativo.  Una volta i “provider” di morte assistita, cioè gli esperti nel procurare la morte secondo le leggi statali avevano un nome inequivocabile: erano i boia, specialisti nel somministrare la “pena di morte”, che adesso, visto che la condanna uno se la può infliggere da solo, si potrebbe chiamare “pena di morte autoinflitta”. Ma il boia rimane, e secondo i ministri, “renderà giustizia a un legittimo e crescente desiderio espresso in generale dalla società”.  Una società che, non avendo più motivi per vivere, non ne ha più neppure per morire. 


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