sabato 21 gennaio 2017

Il business del formaggio in Madagascar


Sia chiaro! Io non sono interessato alla cosa, ma c’è chi lo è: un imprenditore italiano con cui sono rimasto in contatto, dopo che si era servito di Tina come guida. Avendomi chiesto informazioni, nei panni di guida mi sono informato e qui riferisco. Per lui e per tutti. Da anni sento proprietari di pizzerie italiani, residenti in Madagascar, lamentarsi per la mancanza di mozzarella da usare per le pizze. Ieri ho parlato con uno di loro che mi ha spiegato alcune cose. Bisogna partire da un presupposto: i malgasci non sanno fare pizze buone e il motivo non sta tanto nel fatto che usano il formaggio di Antsirabe al posto dell’introvabile mozzarella, quanto perché non fanno lievitare abbastanza la pasta. Il risultato è che il lievito continua a lievitare nello stomaco di chi ha mangiato la pizza, con conseguente laboriosa digestione. Le pizze dei ristoranti francesi non sono esenti da questo difetto. Per quel che ne so, la pasta andrebbe preparata la sera prima, coperta con un panno e lasciata lievitare tutta la notte. Solo così il lievito ha tempo di fare il suo delicato lavoro. Forse ai pizzaioli malgasci nessuno glielo ha spiegato.




Inoltre, mi diceva Giancarlo Faussone con cui ho parlato ieri, titolare del ristorante “Le jardin”, sicuramente il più rinomato della città di Tulear, il suo segreto è che usa il lievito madre, al posto del lievito normale. Il lievito madre è simile ai fermenti lattici e deve essere regolarmente nutrito. La mozzarella va bene per la pizza, collaudata com’è in un paio di secoli di storia, ma non è detto che la renda più saporita. Anzi, i formaggi locali vanno anche meglio per la margherita. Giancarlo tuttavia, sarebbe interessato a comprare la mozzarella, nel caso la persona che vorrebbe investire in Madagascar aprisse una società di import-export, purché non si superasse il tetto dei 20.000 ariary al chilo (5,70 euro) , perché in caso contrario a lievitare non sarebbe più il lievito madre, ma il prezzo finale della pizza. E lui, Giancarlo, deve stare attento a non scontentare i clienti, la maggior parte dei quali appartiene alla classe media del Madagascar, funzionari e dipendenti statali che portano al ristorante la famiglia e che considerano tali visite come una specie di status simbol. C’è infatti in Madagascar un concetto riassunto nel francesismo ”migeste”, che significa pavoneggiarsi, mettersi in mostra per suscitare invidia.



Giancarlo comprerebbe la mozzarella per la pizza ai 3 formaggi, piuttosto che per la margherita, visto che anche il gorgonzola è introvabile. Ma se l’acquirente deve calmierare i prezzi per non perdere clienti, l’importatore sarebbe alle prese con ben altri problemi, sempre inerenti ai costi. Dovendo necessariamente viaggiare in aereo e non in nave, come i fiori del Sudafrica che tutte le notti volano ad Amsterdam per la famosa asta dei fiori, la mozzarella campana avrebbe un alto costo in termini di trasporto. E questo penso sia il motivo per cui molti altri imprenditori, fino ad oggi, si sono arresi. Lo stesso discorso vale per l’olio d’oliva: nei negozi malgasci è carissimo. Quello d’importazione è l’unico che si trova perché la pianta dell’ulivo non cresce in Madagascar. Una volta arrivata all’aeroporto di Ivato, la mozzarella dovrebbe essere caricata sui camion e portata alla destinazione finale. E anche questo avrebbe un costo. Autisti, mezzi e depositi-frigorifero con guardiani anti-ladri in cui conservare la merce, che dovrebbe essere difesa anche dai batteri della fermentazione e dalle muffe. Insomma, se si vuole fare le cose per bene, quando si tratta di cibo, vanno rispettati alcuni parametri igienici, cosa non facile in Madagascar. L’imprenditore italiano deve avere in mente l’intero quadro della situazione. E poi decidere.

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