sabato 14 gennaio 2017

Il mondo a testa in giù


Sì, lo so. Non dovrei riempire la vostra mente di spazzatura. Dovrei offrirvi solo notizie rincuoranti e positive, così da facilitarvi il compito di creare una vostra realtà rincuorante e positiva, ma mi parrebbe di venir meno al mio dovere di cronaca se non riportassi alcuni episodi di cronaca nera che capitano quaggiù, dove mi trovo. Mi sembrerebbe di mancare di riguardo alla Verità se tacessi e anche di prendervi in giro, visto che siete tutti adulti e vaccinati, nonché in grado di distinguere il bene dal male. Non è che andrete in garage a prendere l’accetta per uccidere i vostri genitori, vero? Se no, SDEI mi ammazza! E nemmeno credo che vi metterete a linciare qualche albanese dopo aver sentito cosa è successo giovedì 12 gennaio a Majunga. E dubito fortemente che vi verrà voglia di pestare a morte un giudice dopo aver saputo cosa è successo a Tulear nel 2012.




Sì, perché tra i due episodi di cronaca nera, che riguardano, il primo, un gruppo di studenti universitari e, il secondo, un gruppo di poliziotti, otto per la precisione, intercorrono cinque anni, a riprova che il fenomeno della violenza su questo pianeta è endemico e privo di guarigione. Ciò che vale per il Madagascar, vale per il mondo intero, Italia compresa. Come in alto, così in basso, come nel grande, così nel piccolo. Anche le formiche hanno la loro Tavola Smeraldina.




Un uomo si aggirava nel quartiere universitario, recando in una mano un mazzo di anatre legate per le zampe e, nell’altra, alcune pentole. Gli studenti che in quel quartiere vivono, studiano e danno gli esami, avevano lamentato già in passato furti di vario genere, compreso il pollame che allevano tra un esame e l’altro. Un ragazzo, vedendo passare l’intruso, gli chiede, con fare burbero: “Dove hai preso quelle anatre e quelle pentole?”. L’uomo, ladro poco conoscitore della psiche umana, per tutta risposta, vistosi scoperto, scaraventa a terra anatre e pentole e si dà alla fuga. Errore fatale! Mai scappare davanti a cani e leoni. Qualsiasi studente di zoologia del primo anno sa che la fuga delle prede fa scattare precisi meccanismi nei predatori e l’Homo sapiens non è esente da questa regola. L’uomo scappa. Il ragazzo comincia a gridare, con tutto il fiato che aveva in gola: “Pangalatra, pangalatra”. Da ogni stanza, da ogni ricettacolo, da ogni cespuglio, da ogni sala di studio accorrono gli studenti. E pure qualche professore. Vedono la preda che fugge. Capiscono e non vogliono lasciarsi perdere l’occasione di sfogare i loro istinti belluini, quasi come se non avessero altre occasioni per farlo. La preda viene raggiunta e, come jene con la gazzella, tormentata e azzannata, chi nei punti vitali, chi no. Sassi, bastoni, rami e rametti, pugni e pugnette, calci e scappellotti, la preda rotola a terra, si copre il volto con le mani. Altre mani spostano le sue dal volto sanguinante. Un predatore del terzo anno trova una pietra bella pesante, visto che gli artigli, per una sua sciagurata dimenticanza, li ha lasciati in camera. La pietra colpisce la gazzella ladra, che sviene e poco dopo muore. La natura, avuto pietà di una sua creatura, benché ladra, concede all’incauto l’eterno riposo, così che non dovrà più darsi la briga di andare a rubare né anatre, né pentole. Il giornalista della televisione nazionale, con filiale a Majunga, si fa riprendere vicino al cadavere e alle anatre che, insieme alle pentole, sono state testimoni di tale insensatezza. Se un senso questo linciaggio ce l’ha, sta nel fatto che la società avrà un ladro in meno di cui preoccuparsi, ma il paradosso è che l’intera società malgascia è ladra, anche senza la famosa occasione, e quindi è come se la collettività punisse se stessa, in una specie di catarsi collettiva. Rubare è peccato, molti di quegli studenti lo hanno fatto e lo faranno, ma la capra deve di tanto in tanto essere portata nel deserto fuori le mura di Gerusalemme e lapidata. Agnus dei (o agnu SDEI) qui tollit peccata mundi. Crono che mangia i suoi figli. Qui siamo nel regno di Saturno, oltre che di Geova degli Eserciti.




E, a proposito di eserciti, nel 2012 a un poliziotto i superiori chiesero: “Dove hai messo il fucile?”. “L’ho perso!”, fu la sua poco credibile risposta. Disgraziatamente per lui, poco dopo fu catturato un “malaso” che aveva proprio quel fucile. Il malvivente, forse con qualche aiutino doloroso, non ebbe difficoltà a dire agli inquirenti chi gli aveva noleggiato il fucile. Entrambi finirono davanti al giudice, il poliziotto smemorato e il bandito armato di fucile non suo. Il giudice, con una di quelle sentenze che ultimamente lasciano stupiti anche gli italiani, quando ci sono cause in qualche italico tribunale, mandò in prigione il poliziotto e liberò il bandito. Qui viene in mente Gesù e Barabba, benché prestare fucili ai banditi non sia cosa da niente. La sentenza non piacque ai colleghi del poliziotto ingabbiato che, in otto, decisero di fare una spedizione punitiva. Dopo qualche tempo entrarono nell’ufficio del giudice, che in quel momento era assente. C’era al suo posto il sostituto (se no perché li chiamano “sostituto procuratore?). Tanta era la rabbia accumulata dagli otto, comprese due donne poliziotto, che cominciarono a malmenare il classico tipo presente al momento sbagliato nel posto sbagliato. Vai a fare favori ai colleghi! Nessuno degli otto giustizieri si accorse che non era il bersaglio giusto? Misteri della psiche umana, sempre che di umano ci sia qualcosa in certi frangenti.





Andarono avanti a pestarlo di santa ragione, soprattutto le due donne. Il sostituto magistrato svenne. Fu caricato come un sacco di riso (da noi si dice di patate, annotazione etnolinguistica) su un pick-up e scaricato davanti al carcere, luogo dove secondo loro meritava di stare, ma i corpi svenuti hanno il brutto vizio di non parare i colpi delle cadute e la testa del magistrato, benché supplente e facente funzioni, prese una botta letale e in Madagascar, da quel giorno, ci fu un giudice in meno nell’apposito albo professionale. Gli otto furono catturati dai loro colleghi e mandati in carcere a Tanà. Fecero tre anni di galera, percependo nel frattempo lo stipendio intero, visto che avevano famiglia. Dopo tre anni per omicidio colposo, o preterintenzionale che dir si voglia, furono reintegrati nel posto di lavoro, sebbene trasferiti lontano da Tulear. Da noi, 15 anni non glieli toglieva nessuno, con tanto di botte in carcere da parte dei secondini. Io ho l’interdizione dai pubblici uffici fino al 2022, per aver cercato di liberare animali prigionieri. Il mondo a testa in giù, direbbe Galeano.  

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