lunedì 16 gennaio 2017

Ragazzi tuttofare


Da quando abbiamo licenziato Savoritake perché si presentava sempre ubriaco a prendere servizio, abbiamo avuto bisogno di alcuni lavoretti in casa, il primo dei quali ha riguardato le serrature di alcune porte. Detto per inciso, dopo una decina di giorni senza guardiano notturno, Tina e sua figlia Annika si stanno abituando ai rumori sospetti che si sentono di notte e non ci fanno più caso, riuscendo perfino a dormire. Il primo dei ragazzi a venire a sistemare chiavi e serrature è stato Mahiti, che non per niente ha fatto studi tecnici di tipo professionale. Arti e mestieri. Poi è venuto Thierry, diplomato e disoccupato, che vediamo qui mentre spacca con un “meso bevata”, grosso coltello, le noci di cocco abbondantissime nel nostro cortile. A Tina piace il latte, mentre io gradisco la polpa spessa un centimetro, più consistente di quella di un paio di millimetri, che invece è molliccia, simile a una pellicola. Tina dice di saper riconoscere, da fuori, se una noce di cocco ha la polpa spessa, quella che siamo abituati a conoscere anche in Italia, da quella molle simile a una pelle viscida. Come faccia non so.



Poi c’è Toemassy, che Tina dice appartenente alla sua famiglia Tanalana, ma quando dice così devo sempre ricordarmi che fa coincidere il termine “famiglia” con quello di etnia e quindi si tratta di una famiglia di diverse migliaia di persone. C’è poi la questione di chi siano, precisamente, i Tanalana. Sì perché, per essere esatti, l’etnia principale è quella Mahafaly, ma siccome i Vezo hanno dato quel nome agli abitanti di Anakao e di Salary, il termine ha preso piede e anche Tina, che viene da Besely nord, ha adottato per sé quella definizione. Fatto sta che io la sento parlare con piacere più con i ragazzi Tanalana, che non con quelli delle altre etnie. Spaccare i cocchi non dovrebbe essere difficile e una delle prossime spese che affronteremo sarà quella di comprare un “meso bevata”, così che anch’io possa cimentarmi nell’impresa. La padrona di casa ha detto che possiamo prendere tutte le noci di cocco che vogliamo. Intanto, qui vediamo Toemassy mentre vernicia un mobiletto appena comprato, a causa del quale io e Tina abbiamo fatto una feroce litigata: non mi aveva detto che voleva comprarne uno. Sapeva che non sarei stato d’accordo.




A volte i ragazzi si presentano tutti e tre insieme, Mahiti, Thierry e Toemassy, magari con qualche loro amico. Allora Tina gli fa fare i giardinieri, com’è successo ieri, il giorno del mio primo ciclone. Prima che cadesse la pioggia, avevano estirpato l’erba. Poi, passato l’uragano, hanno cominciato a raccoglierla dentro una carriola con l’intenzione di portarla al “bac de lordure”, letteralmente il traghetto dell’immondizia, ma Tina li ha fermati dicendo di aspettare che l’erba si asciugasse. Il motivo mi è oscuro. Qui si apre un capitolo doloroso per il Madagascar. Ci sono momenti in cui, quando cammino per strada, mi sembra di vivere in un immondezzaio e credo che molti turisti, come primo impatto, abbiano la stessa sensazione. Non solo perché per abitudine - basta osservare i bambini – tutti buttano gli scarti e gli involucri per terra, ma perché i luoghi di raccolta dei rifiuti sono sempre stracolmi, con tali enormi contenitori, inaccessibili ai più perché troppo alti, sempre pieni di immondizia, tanto che la gente trova normale scaricare la roba direttamente attorno ad essi. Gli addetti del comune passano più o meno regolarmente con il camion a prelevare il cassonetto intero, portandolo fuori città, ma il servizio non è abbastanza veloce per svuotarli tutti in tempo e le schifezze si accumulano. Storia già vista a Roma e a Napoli.




Sempre con la carriola, i nostri ragazzi tuttofare dovrebbero portar via i rifiuti che noi abbiamo prodotto e che ora fanno bella mostra di sé in un angolo del cortile, attirando nugoli di mosche, ma a causa del ciclone che ha reso impraticabili le strade ancora non lo hanno fatto. Avrebbero solo qualche centinaio di metri da fare, ma al momento è tutta una pozzanghera. Io non posso fare il lavoro di portare tali sacchi al “bac de lordure” perché Tina non vuole: sarebbe disonorevole e farei la figura del vazaha scemo. A me non dà fastidio passare per scemo, ma a lei sì. In fatto di usi e costumi lascio che sia lei a decidere cos’è meglio fare. Anche quando do’ pane ai cani randagi divento un vazaha scemo, ma a questo Tina si sta abituando, visto che io, dopo dieci anni, non ho intenzione di desistere. I ragazzi che ci danno una mano ricevono la giusta mercede, secondo i parametri locali e questo gli fa comodo perché fra un paio di mesi cominceranno l’università.




3 commenti:

  1. Che belli quei cocchi verdi!
    Sbaglio o la loro polpa è rosata? Sono quelli giovani? Che sapore hanno? Perchè io ho in mente solo quelli con la buccia spessa che si trovano qui, per me decisamente insapori. Sarò stata sfortunata...
    La celeberrima acqua (o latte?) di cocco (quella veramente fresca) è davvero così rinfrescante?

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    1. Il cosiddetto latte di cocco non è fresco ma tiepido. La polpa spessa un centimetro è quella classica che conosciamo e che viene venduta sulle spiagge d'estate.
      La scorza verde è il rivestimento esterno, mentre quella marrone che abbiamo sempre visto si trova all'interno di quella verde.

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    2. Grazie delle informazioni!

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