mercoledì 11 ottobre 2017

La dignità delle donne in guerra


Ventisei anni prima di “Mediterraneo”, di Gabriele Salvatores, era uscito “Le soldatesse”, di Valerio Zurlini. Le cose che i due film hanno in comune sono la seconda guerra mondiale, la Grecia, i soldati italiani e le prostitute, oltre a una mestizia di fondo e al “nostoi” di chi, vecchio, rievoca le passate scelleratezze della guerra e gli amori infranti tra i goffi e fintamente feroci italiani e le belle donne greche dall’aspetto mediterraneo. In “Le soldatesse”, un irriconoscibile Tomas Milian accenna all’amore perduto con Eftichia, che se ne va senza voltarsi indietro, mentre in “Mediterraneo” tre dei reduci si ritrovano, vecchietti, per una rimpatriata negli stessi luoghi che li videro soldati combattenti. Nel film di Salvatores sembra più di vedere una scampagnata fra amici, mentre in quello di Zurlini ci sono morti ammazzati, sia Camicie Nere che partigiani. E c’è anche un prete ortodosso, in entrambi i film, a coprire con un velo di pietà le crudeltà della guerra. Se negli anni si è creato lo stereotipo degli “italiani brava gente”, nel film “Le soldatesse” si capisce che i cattivi sono i soldati italiani, prima descritti come porci schifosi e poi anche come occupanti abusivi di un territorio martoriato, nonché culla della civiltà europea. 


Cattivi tra i cattivi sono i fascisti, e pure vili come il maresciallo Alessi. Infatti, tranne costui che se la cava (la merda galleggia sempre), tutti gli altri fanno la fine che si meritano: cadono in un’imboscata, trenta in un colpo solo. Nel 1965, a vent’anni dalla fine della guerra, c’era bisogno evidentemente di collocare il fascismo tra il male assoluto. Brava e bella Lea Massari, che in seguito, come Brigitte Bardot, sarebbe diventata animalista.


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