martedì 21 novembre 2017

I negazionisti del riscaldamento globale sono al soldo dei petrolieri



A Hard Rain’s Gonna Fall: fu la voce profetica di Dylan ad annunciare al mondo la possibile apocalisse. Era il 1963. E mezzo secolo dopo, quel boia che sembrava ben nascosto, si affaccia sulla terra e agita la scure. Piovono bombe d’acqua, si desertifica la terra, l’acqua da bere scompare e quella dei mari s’impenna a dismisura. Fa più caldo, c’è più fame, sempre più gente deve partire da lande inospitali. «Sapevamo che il clima stava cambiando da almeno trent’anni, ma non abbiamo fatto niente per impedirlo», ammonisce il climatologo Luca Mercalli. «La conseguenza è che il Pianeta è ammalato e non possiamo più salvarlo. Le temperature aumenteranno di cinque gradi. E noi non possiamo far altro che alleviare l’entità dei danni. Se non lo facciamo, la Terra diventerà un pianeta per dinosauri», chiosa il presidente della Società Meteorologica Italiana.


Il clima mostra inequivocabili segnali di mutamento. Che cosa sta accadendo?
«I pericoli del surriscaldamento sono noti da una trentina di anni. Il primo accordo internazionale sul clima risale alla Conferenza delle Nazioni Unite che si tenne a Rio de Janeiro nel 1992. Ma da allora abbiamo perso molto tempo utile: tante chiacchiere, poche decisioni. Non fa eccezione neanche il protocollo di Kyoto, un piccolo esperimento diplomatico che non ha certo lasciato il segno nella riduzione delle emissioni. Il risultato è che oggi ci troviamo a dover mettere una pezza su un problema ormai irrisolvibile. La Conferenza che si terrà a Parigi dall’1 al 12 dicembre, è l’ultima chiamata. Ma dev’essere chiaro. Il Pianeta è ormai ammalato: non possiamo far altro che tentare di ridurre l’entità dei danni».

Quali rischi corriamo, se non si prendono provvedimenti?
«Se a Parigi si firma e ci si decide a fare qualcosa, possiamo cercare di contenere l’aumento della temperatura globale entro due gradi da qui al 2100. In assenza di provvedimenti, il clima registrerà viceversa un surriscaldamento di cinque gradi. Se così fosse, i siciliani si troverebbero a fronteggiare temperature estive che sfiorano i cinquanta gradi, per fare un esempio. Molti luoghi del mondo diverrebbero invivibili: un pianeta per dinosauri, inadatto al genere umano».

Continuerebbe il processo di desertificazione, ad esempio.
«Proprio così. Abbiamo già registrato in tutta la Terra aumenti di temperatura di un grado. La desertificazione delle zone calde, dove già adesso l’acqua è in fase di esaurimento, proseguirà inesorabile. Ma il surriscaldamento accelererà anche la fusione dei ghiacciai nelle zone di montagna e nelle regioni polari. Nessuno le vede perché in quei luoghi non ci sono le redazioni dei giornali. Ma se il New York Times avesse una redazione in Groenlandia, saremmo più preoccupati. Nell’Artico e in Antartide, è in corso una preoccupante accelerazione dei processi di scioglimento. Oggi le acque salgono di livello al ritmo di tre millimetri all’anno. Ma fra un secolo ci troveremo a dover gestire due tipi di scenari: uno, con un mondo a due gradi in più, dove le acque sono cresciute di 40 centimetri. O un altro, ben più devastante, che vedrebbe il livello del mare cresciuto di un metro nell’arco di un secolo».

Quali conseguenze sulle ondate migratorie?
«Il problema è già oggi di grande attualità, anche a causa dei mutamenti climatici. Ma nel prossimo futuro gli effetti saranno dirompenti. Pensate ad esempio al Bangladesh, un Paese che si trova a un metro dal livello del mare ed è popolato da 100 milioni di abitanti. Se il Paese dovesse divenire inabitabile, saremmo di fronte a un esodo di dimensioni bibliche. Ma se il mare non si alza in una notte, ancora più allarme devono destare gli eventi intensi. Uragani e siccità producono fame. E la gente scappa in quel caso nel giro di un mese. Viviamo in un mondo popolato da 7 miliardi e 300 milioni di abitanti. Ma nel 2050 diventeremo nove miliardi. Dovremo fronteggiare emergenze epocali. Gli sbarchi a Lampedusa, in confronto, saranno ricordati come sporadici tour di poche migliaia di persone».

Molti lo negano: è colpa dell’uomo se il clima è cambiato?
«Gli esperti di clima sono pressoché concordi: le colpe dell’uomo sono evidenti. Chi lo nega non appartiene quasi mai al novero di quanti studiano l’ambiente. Si tratta spesso di “disturbatori” al soldo delle grandi società petrolifere e del carbone che negli Stati Uniti finanziano gruppi di ricerca costruiti ad arte per inquinare il dibattito. I “negazionisti” fanno chiasso sui giornali, ma nei congressi scientifici non ci sono mai. E nessuno di loro, chissà perché, mette mai a disposizione di Science o Nature gli studi che si vantano di aver condotto. Sanno benissimo come stanno davvero le cose. Basti pensare alla questione dell’amianto e del tabacco: dopo anni di dirottamenti, la verità è finalmente venuta a galla, nonostante le loro manovre».

In vista di cambiamenti così epocali, non converrebbe anche alle lobbies programmare il futuro invece di negarlo?
«Un uomo di grandissima autorevolezza in campo economico come Lord Nicholas Stern, già consigliere economico del governo britannico e docente di Economia alla London School of Economics, ha scritto nel celebre rapporto che porta il suo nome nel 2006 che è meglio investire in prevenzione un punto di Pil oggi, piuttosto che dover affrontare danni economici che possono arrivare al venti per cento del prodotto interno lordo di domani. Eppure chi fa affari sullo status quo, non vuole mollare l’osso che rosicchia. E non comprende che ci sono delle cose che l’economia non compra. Le sofferenze delle persone non hanno prezzo, e non possono essere trasformate in moneta».

E intanto caldo e bombe d’acqua, sono sempre più ingestibili
«Le ultime estati sono state le più calde degli ultimi duecento anni. Ma per quanto riguarda le precipitazioni violente si può parlare di un influsso. L’aumento delle piogge è sicuramente un segnale dell’aumento dell’intensità di certi fenomeni, ma c’è anche un’importante quota di responsabilità da attribuire all’abuso del territorio e alla cementificazione selvaggia».

Che cosa fare per diminuire l’entità dei danni?
«La regola aurea che vale per tutto e per tutti è una sola: abbattere lo spreco. Siamo una società che spreca cibo, energia, risorse. Eppure, specie in tempi di grande crisi come quelli che viviamo, l’idea fatica a trovare il favore popolare. Un vero mistero. Puntare a una maggiore efficienza, non vuol dire tra l’altro neanche dover fare sacrifici, ma soltanto usare la testa: possiamo avere lo stesso livello di comfort senza particolari rinunce. C’è ad esempio la bella possibilità del bonus fiscale del 65 per cento per chiunque faccia un’operazione di risanamento energetico della casa. Chi vive al Nord potrebbe isolare gli ambienti dal freddo, e risparmiare sui riscaldamenti. E chi sta al Sud potrebbe evitare bollette da capogiro per colpa del condizionatore. L’opportunità è stata riconfermata dal governo anche quest’anno, ma è stata finora poco sfruttata».

Molti criticano l’energia verde: dicono che costa troppo e ha una bassa resa.
«Quando è in gioco la nostra salute, i soldi diventano la cosa meno importante. E poi che senso ha parlare di convenienza, se tra vent’anni saremo tutti sotto lo schiaffo degli estremi climatici? Sono discorsi sterili. Quando la natura decide di prenderci a botte sulla schiena, non può esserci calcolo economico che tenga».

Forse l’enciclica sull’ambiente di papa Francesco potrà essere d’aiuto.
«Dal punto di vista scientifico contiene il meglio della conoscenza scientifica attuale. Ma è anche un possente richiamo etico alle responsabilità dell’uomo, alla solidarietà e all’amore per il nostro Pianeta. È un’opera straordinaria che non ha avuto abbastanza attenzione. Ma è destinata a diventare un punto di riferimento. Per chi abita la Terra oggi e per chi ci vivrà domani».

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