venerdì 10 novembre 2017

La lotta alle fake news è il pretesto per nascondere la verità


Testo di Adelvis Tibaldi 

Le chiamano fake news e la loro diffusione offre alle lobby il pretesto per mettere il bavaglio alla controinformazione dei social e per continuare a gestire il consenso mediante le testate di regime. Le lobby che governano il paese attraverso i burattini della politica, sono talmente insofferenti nei confronti delle contestazioni e dell'esercizio della democrazia da aver costituito una associazione che, muovendosi sotto il patrocinio del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell'Ambiente, condiziona l'opinione pubblica con ogni mezzo possibile e con un plateale abuso di posizione dominante. Per sfottere chi contesta le cosiddette grandi opere, l'associazione si è data il nome di Nimby Forum e per dimostrare la sua forza ha celebrato il decimo anniversario della sua costituzione all'interno del Parlamento. Come testimoni oculari abbiamo assistito a quella sceneggiata e dopo aver preso atto dell'asservimento di parlamentari, giornalisti e docenti universitari, ci siamo sentiti dire che il principale nemico del progresso erano i social. Bene inteso, non per le possibili falsità o esagerazioni, bensì per le verità che questi possono veicolare in piena libertà. Adesso le lobby non hanno più bisogno di aspettare i deputati fuori dal Parlamento e dato che una nuova legge le ha fatte accomodare nel palazzo da dove possono fare il bello e il cattivo tempo, non perdono occasione per sollecitare l'emissione di leggi fatte su misura e, perché no, qualche provvedimento per mettere in riga i social.


Sebbene le fake news siano sempre in agguato è anche vero che la sete di notizie sprigiona interessi e curiosità sopite, ma anche l'esigenza di non sentirsi più soli e il bisogno di mettersi nell'agone per dire la propria, per apparire e avere la sensazione di poter contare. A questo punto il controllo della veridicità ha poca importanza rispetto alla possibilità di esistere, di essere considerati e di partecipare ad un dibattito che in ultima analisi potrebbe anche rivelarsi risolutivo e dirimente nella verifica delle notizie trattate e nella individuazione degli inganni. In fondo, la gente è meno stupida di quanto si voglia credere e sebbene i social sollevino polveroni spesso impenetrabili, più che nella affidabilità delle notizie, il rischio risiede nella superficialità e nella loro velocità, quindi nel poco tempo lasciato alla riflessione e alle valutazioni degli utenti. Resta il fatto che i social hanno rivoluzionato i rapporti di forza e mandato in paranoia le testate tradizionali, che restano tuttavia strategiche agli occhi di un sistema politico arcaico, convinto che gli inganni e le notizie farlocche si trasformino in oro colato nel momento in cui vengono spacciate da un organo ufficiale o, viceversa, quando le notizie scomode e inopportune vengono occultate. 

Nel contempo i media tradizionali versano in uno stato confusionale e per essere legati al finanziamento pubblico si fanno servili nei confronti del padrone di turno. Lo abbiamo constatato in anni e anni di lotte portate avanti contro i potentati e contro una classe politica assolutamente asservita ai loro interessi. Abbiamo assistito a vere e proprie forme di prostituzione e la linea delle testate, che una volta si sostanziava nell'articolo di fondo del direttore, è sparita e costui, indossata una barba da vecchio saggio, passa il tempo a fare il moderatore in ogni sorta di convegno, ove compare senza dispiacere a nessuno. 

In questo clima era inevitabile che fossimo messi all'indice per essere una voce libera che non va a patti con nessuno e si espone con denunce concrete e documentate. Ebbene, tutti i corrispondenti locali delle maggiori testate di regime e di quelle padronali legate al regime hanno ricevuto l'ordine di non fare più menzione delle nostre prese di posizione. Situazioni che infamano chi si lascia condizionare per i sei o dieci euro percepiti per ogni servizio pubblicato, e altrettanto patetiche sono le acrobazie che i cineoperatori devono compiere per evitare di immortalaci. Un esempio emblematico? Due mesi fa abbiamo divulgato la notizia delle acque contaminate che fuoriescono dalla Caffaro di Torviscosa e da anni penetrano nella laguna di Grado e Marano con buona pace di tutti. 

La cosa ci è parsa non solo scandalosa, ma oltretutto gravida di possibili conseguenze per la salute pubblica, tanto da aver sporto denuncia presso la Guardia di Finanza. E' sembrato quindi necessario diramare la notizia e consegnare copia dell'esposto alla corrispondente locale perché la popolazione ne fosse informata e messa in guardia. Ebbene, impossibilitata a raccontare i fatti per non incorrere nel divieto di metterci in mostra, la corrispondente ha preferito affidare la nostra denuncia alle polemiche di un poco credibile gruppo di opposizione del comune di Torviscosa. Così, anziché collocare i fatti nel quadro di un aspetto sociosanitario di assoluta gravità, tale da costituire un motivo di seria riflessione, la vicenda è scaduta in un battibecco da strapaese.

Da parte sua la Procura non ha potuto fare a meno di dare seguito alla denuncia pervenutale, ma in una sorta di consonanza con l'ostracismo delle testate giornalistiche, si è ben guardata dal compiere un sopralluogo in nostra presenza. Rinunciando a conoscere ulteriori particolari, l'inquirente si è fatto accompagnare in loco da un occasionale testimone citato nella suddetta denuncia e per giunta dopo un periodo di intense piogge che hanno comportato la inevitabile diluizione degli inquinanti e quindi la dubbia rappresentatività dei campioni prelevati per l'occasione dall'Arpa. Ma lo stupore del testimone è cresciuto a dismisura nel momento in cui gli è stato riferito che l'inquinamento era a conoscenza dell'Arpa, ma che nulla si era fatto per impedirlo, stante il fatto che la Caffaro era fallita e non c'era più un titolare a farsene carico. Robe da terzo mondo o per meglio dire robe da mandare in galera tutti, comprese le autorità competenti e i responsabili dei controlli ambientali.

E in effetti il gravissimo inquinamento del SIN Grado e Marano, oggi denominato SIN Caffaro di Torviscosa è arcinoto, quanto occultato con grave pregiudizio della salute pubblica. Tutto ciò quando ci sono due milioni di metri quadri sottoposti ufficialmente a vincolo ambientale e mentre pendono due procedure di infrazione comunitaria, su due delle sei discariche della Caffaro. La governante ha taciuto per anni e tutto ciò che si è fatto è un gioco a scarica barile fra la Regione, il Comune di Torviscosa, il Ministro dell'Ambiente e un Commissario Straordinario in carica ormai da otto anni e mezzo, per quanto incapace di conseguire un benché minimo risultato. La Regione non è stata da meno, non avendo saputo spendere nemmeno quanto ricevuto in dote dalla gestione commissariale per il risanamento delle peci benzoiche presenti all’interno dello stabilimento. Il bello è che, trascorso un anno da quando la Regione ha sottoscritto il protocollo d'intesa con i Ministeri dell'ambiente e dello sviluppo economico, non è successo niente. 

Ma oggi, 7 novembre, nonostante la censura, il silenzio stampa e i campioni annacquati, per evitare il peggio la governante Serracchiani è stata costretta ad incontrare il sindaco di Torviscosa per suonare le trombe delle buone intenzioni: per accorgersi di non aver fatto un bel nulla e per augurarsi di poter attingere quaranta milioni dalle tasche dei contribuenti per avviare le tanto attese bonifiche, sempre che a qualcuno non venga in mente di acquistare quelle aree messe a gara dal Commissario Straordinario. Siamo davanti alla storia della rava e della fava messa in scena per imbrogliare le carte e scongiurare una denuncia penale che a questo punto parrebbe obbligatoria. Intanto per spargere un po' di fumo negli occhi della autorità giudiziaria e bruciare 700.000 euro a favore di quel pozzo senza fondo e senza regole che è il Consorzio di Bonifica viene affidato l'incarico per una fantomatica “messa in sicurezza di pozzi e falde acquifere”. A tradurre sul quotidiano la velina della Serracchiani è ancora una volta la corrispondente che per sei euro non ha avuto il coraggio di raccontare la verità dei fatti.

Le finte bonifiche dell'Aussa Corno emanano un fetore insopportabile per quanto commesso in quello che a ragione può essere chiamato l'imbroglio del secolo. Il procedimento pendente davanti al Tribunale di Roma, dopo che era stato incardinato a Udine, è in pieno svolgimento e con l'imputazione di associazione per delinquere vede coinvolto l'ex direttore generale del Ministero dell'ambiente e tre ex Commissari. Una notizia da occupare la prima pagina e invece, in onore alla associazione per delinquere, finisce nel dimenticatoio. Il Messaggero Veneto l'ha trattata a pagina 42, in un trafiletto anonimo di poche righe, degno dello smarrimento di un cane: ovviamente senza fare i nomi degli imputati.

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