lunedì 4 dicembre 2017

La funzione catartica dei tribunali internazionali



Il Generale Croato-Bosniaco, Slobodan Praljak, si è suicidato davanti alla Corte dell’Aja dopo aver ricevuto una condanna a 20 anni di carcere, per le accuse risalenti ai crimini del conflitto nella ex Juogoslavia. Mentre il Presidente della corte pronunciava la sentenza, I’ex Commissario alla difesa dello Stato croato gridava alla corte: “Non sono un criminale di Guerra”, “mi oppongo a questa condanna con disprezzo”, poi ingeriva cianuro di potassio. Vani i tentativi di soccorso da parte dei presenti, di fronte a un giuria in preda a incredulità e sgomento. Slobodan Praljak, classe ’45, tre lauree: ingegneria, filosofia ed arte drammatica, autore di innumerevoli spettacoli televisivi e teatrali, svolse un ruolo di primo piano dal 91-95 nel sanguinoso conflitto croato-bosniaco. Su di lui, manco a dirlo, l’accusa infamante di “crimini contro l’Umanità”, di genocidio ai danni di civili e minoranze musulmane, in un periodo di disgregazione della ex- Jugoslavia. A suo carico anche la decisione della distruzione del “ponte di Mostar”, simbolo di una delle pagine più drammatiche della guerra tra etnie della Regione Balcanica.


Il gesto tragico di Praljak non può che richiamare alla mente altri suicidi eclatanti come quello del maresciallo Goering durante il processo di Norimberga, del “seppuku” dello scrittore giapponese Yukio Mishima o quello più recente, anche se diverso nella dinamica, del Poeta Dominque Venner.  Tutti questi suicidi hanno in comune il disprezzo verso una giustizia parziale ed il decadimento dei valori occidentali. Sono un atto di accusa contro la “banalità del bene”, contro chi pretende di dividere con l’accetta colpevoli ed innocenti nella storia mondiale, glissando ipocritamente sulle responsabilità di chi comanda.

Gesti come quelli del Generale Praljak sono certamente più nobili di quelli dei governanti che predicano accoglienza e pace ma poi bombardano i paesi costringendo la gente a scappare, di quelli dei cultori del diritto penale internazionale selettivo e strumentale alla diffusione della “democrazia”, possibilmente senza il popolo. Sono questi i fautori di tribunali ad “hoc” contro i criminali da mettere alla gogna mondiale, delle Norimberga 2.0, dove i vari Milosevic, Mladic e per ultimo Praljak, diventano “mostri” da sbattere in prima pagina per coprire i veri crimini dei dominanti. Una catarsi necessaria per tornare a bombardare il prossimo “dittatore”, che sia esso a Belgrado, Tripoli o Bagdhad.

Un film visto migliaia di volte, con lo stesso copione e la stessa furia “democraticamente corretta”, con una platea narcotizzata dalla retorica umanitaria, incapace di ogni minimo discernimento. Praljak quindi è un criminale, così si è espresso il Tribunale e magari tra 20 anni o 30 anni assisteremo ad una sua assoluzione, ad un giudizio completamente diverso sui bagni di sangue di quel periodo o semmai meno definitivo. Come quello su Milosevic, “il macellaio dei Balcani”, il novello Hitler, utile a giustificare 72 giorni di bombardamenti su Belgrado. Nel silenzio generale dei media, Slobodan Milosevic sarà scagionato da ogni responsabilità per i crimini di guerra, durante il periodo 92-95, dalla Corte Penale Internazionale per i crimini nell’Ex Jugoslavia. 

Sarebbe fin troppo retorico interrogarsi sui responsabili della pioggia di bombe su Belgrado. Il segretario di Stato Albright (foto), che ignorò i tentativi di mediazione di Milosevic per un accordo con le forze occidentali al fine di evitare la guerra in Serbia. Per questa autentica criminale di guerra non ci sarà nessun TPI. Per arrivare alla storia più recente, ai segretari di Stato americani, Colin Powell ed Illary Clinton che decidevano la distruzione di Iraq e Libia. Per tacere del Presidente Obama, nobel “preventivo” per la pace, responsabile del caos siriano e di vari altri disastri.


Il breve cenno a tali episodi basterebbe per processare i principali leader delle democrazie occidentali per crimini contro l’umanità. Ma i vincitori, benché si macchino delle stesse colpe degli sconfitti, se non di più gravi, si assolvono sempre da soli trovando giustificazioni morali ad ogni nefandezza. Pensate ad un D’Alema, che dopo aver fatto bombardare Belgrado, parlò di ingerenza umanitaria anziché di atto di guerra senza alcuna giustificazione, anche perché in Serbia, come ha poi mostrato un rapporto Osce, non era in corso alcun genocidio.

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