venerdì 2 febbraio 2018

La decrescita come reazione al fallimento del comunismo



Gentile Direttore,
propongo una riflessione sulla crescita scriteriata dei consumi. Il nostro agire quotidiano, la nostra mania dell'usa e getta, gli acquisti dei generi alimentari superflui che in tanti non utilizzano o che li lasciano marcire in frigorifero e nelle dispense, ci porterà prima o poi alla esigenza di un cosciente e necessario risparmio. E anche a modificare il nostro stile di vita. Se vogliamo vivere in un pianeta al minimo dell'inquinamento, se non vogliamo esser sommersi dai rifiuti più o meno tossici. Tanti personaggi di rilievo e tanti politici delle varie Nazioni pensano che un inquinamento climatico globale sia un avvenimento remoto. Ma non pensano alle generazioni future che erediteranno una Terra piena di veleni e di insidie per il loro fisico. Secondo il rapporto di autorevoli studiosi, dell'ISPRA e del National Geographic, non ci sono tanti margini di sicurezza, di tempo illimitato per non agire immediatamente. Prima o poi arriverà un conto salato, avendo già un pianeta ormai piccolo per la popolazione mondiale che era di 750 milioni di abitanti nel periodo preindustriale e che ora vede circa 7,5 miliardi di umani. Per tutto questo credo sia auspicabile una decrescita felice.
Giacomo Mella
Pordenone



Caro lettore,
non c'è dubbio che servano nuove e più rigorose regole per governare lo sviluppo del nostro Pianeta. Ma con buona pace dell'economista francese Serge Latouche e dei numerosi sostenitori delle sue idee, la decrescita felice non esiste. È una contraddizione in termini. Come è stato giustamente notato, siamo di fronte a una forma di ecosocialismo che vorrebbe imporre a tutti uno stesso modello di vita e di sviluppo, mortificando o negando nelle sue fondamenta il libero mercato e la libera iniziativa. I teorici della decrescita felice immaginano una società in cui si debba rinunciare all'obiettivo di un Pil con il segno positivo o all'umano desiderio di produrre qualcosa di meglio e più efficiente di quello che produciamo oggi. Nella loro concezione qualcuno (chi?) dovrebbe stabilire quali sono i bisogni veri e quali i bisogni falsi e imporre alla società regole e imposizioni coerenti con questa nobile visione. Un'idea di Latouche, che sogna un mondo senza auto e aerei, è per esempio quello di far pagare carissimi i carburanti in modo da costringere la gente a muoversi con mezzi cosiddetti naturali. La decrescita felice è un'immagine forse suggestiva, ma nella realtà rappresenta solo l'ultima frontiera dei delusi del marxismo che, viste crollare le certezze del materialismo storico, si rifugiano in questa nuova utopia come strumento per abbattere l'odiato capitalismo. Speriamo che le teorie di Latouche abbiano meno fortuna politica di quelle di Karl Marx.

Il direttore Roberto Papetti

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